Pianoforte • Alla Società dei Concerti di Milano l’interprete è poco convincente con le pagine di Chopin e Beethoven, meglio in Ravel e Saint-Saëns
di Luca Chierici
IL RITORNO DI BEHZOD ABDURAIMOV per il suo secondo recital milanese, a quasi un anno di distanza da un concerto che avevamo recensito con toni entusiastici da queste colonne, ha in parte confermato il valore di un pianista di talento eccezionale e nello stesso tempo ha rivelato in lui uno stato di ricerca, l’esistenza di un percorso tuttora in svolgimento che lo porta a sperimentare differenti scelte di repertorio e differenti soluzioni interpretative. Nella sua impaginazione di programma Abduraimov ha fatto leva su alcuni pilastri del repertorio come la Sonata op.26 di Beethoven, la Fantasia op.49 di Chopin e Gaspard de la nuit di Ravel, ma ha purtroppo ceduto alla tentazione di richiamare il nome di Horowitz attraverso due suoi famosi cavalli di battaglia come le Variazioni su un tema della Carmen e la rielaborazione della Danse macabre di Saint-Saëns, già trascritta da Liszt. Non ci saremmo aspettata da lui questa accondiscendenza verso una moda che è dilagata tra i giovani pianisti già dopo pochi anni dalla scomparsa del grande artista russo-americano. Sia chiaro, Abduraimov suona queste due riuscitissime pagine con uno spirito molto più aderente al gusto horowitziano di quanto non facciano Lang Lang e Yuja Wang, che ne sanno riproporre solamente il lato meccanico-velocistico. Ma il fatto è che di Horowitz non bisognerebbe ricordare solo il lato esteriore e salottiero: oltre a essere un fraseggiatore inarrivabile dotato di una tavolozza variegatissima di colori, egli andava diritto ai significati più inquietanti dell’estetica romantica e restituiva in maniera attualissima i segreti più reconditi della inventiva schumanniana, chopiniana e lisztiana.
L’unico momento veramente convincente nel programma dell’altra sera del giovane Abduraimov si è rivelato essere il capolavoro di Ravel: una lettura bruciante, giustamente ipervirtuosistica, di quelle che rimangono impresse. Non altrettanto felici si sono rivelate le incursioni sul terreno beethoveniano e chopiniano. Della Sonata op.26 emergeva solamente la perfetta scorrevolezza dello Scherzo e del Finale, ma si perdeva il fascino del suono nel Tema con variazioni e soprattutto il senso dell’eroico nella Marcia funebre. Troppo veloce e poco significativa era poi l’andatura della Fantasia op.49 di Chopin, risolta con una mancanza di insight che davvero non ci attendevamo, tanto da pensare che tra Abduraimov e Chopin tutto sommato non corra un ottimo rapporto. Un breve intermezzo schubertiano era da notare solamente per la incomprensibile e troppo sperimentale scelta di eseguire l’Improvviso in sol bemolle evitando accuratamente di fare emergere il canto, una delle ineffabili melodie del musicista viennese. Meglio allora i bis čajkovskiani che hanno ancora una volta ricordato quanto i pianisti di area russa siano affettuosamente devoti al grande musicista del Lago dei cigni. È forse solamente un caso, ma i tre titoli più importanti del programma rappresentavano altrettante pietre miliari nel repertorio di Benedetti Michelangeli, ben documentati in disco e, nel caso di Beethoven, persino in video. Suggeriremmo a Abduraimov, anche per placare nervosismi e stanchezze dovute al jet-lag causato da iper-attività, di dedicare una piccola seduta d’ascolto a quei documenti: ne gioverebbe la sua salute e il suo rapporto con un pubblico ahimé sempre più tossicoloso e “mobile phone oriented”.
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