Il festival tedesco si è focalizzato quest’anno su compositori che esprimono il proprio agire musicale con l’interazione di altri linguaggi artistici, nuova «arte sintetica»
di Gianluigi Mattietti
I DONAUESCHINGER MUSIKTAGE HANNO PROPOSTO anche quest’anno un’interessante serie di prime esecuzioni mondiali (tutte commissioni del Südwestrundfunk-SWR) sotto il segno degli approcci multidisciplinari nella musica. Il titolo della rassegna, «Und+», voleva infatti suggerire una nuova figura di compositore, attivo anche come poeta, pittore, saggista, videomaker, performer. Una nuova «arte sintetica», esplorata anche in un’esposizione di dipinti, opere grafiche, scritti, istallazioni di tutti i compositori coinvolti nel festival. Ma alla fine sembra aver prevalso, come sempre, l’aspetto musicale (anche per l’altissimo livello delle esecuzioni), mentre il coté visivo e performativo appariva spesso ingenuo e un po’ naif. Certo, alcune istallazioni coglievano nel segno, come Mille Plateaux, con la quale Pascal Dusapin ha voluto dare forma sonora e visiva a quella metafora del “rizoma”, che Gilles Deleuze e Félix Guattari avevano teorizzato in Mille Piani, ricerca filosofica che procede per multipli, senza punti di entrata o uscita, inizi e conclusioni, senza gerarchie interne. Dusapin ha trasformato alcuni disegni in un video proiettato su numerosi velatini disposti in vari punti di uno spazio ampio, immerso nel buio, come un labirinto di segni nel quale gli spettatori erano invitati a camminare perdendo l’orientamento, accompagnati da una musica organizzata come le immagini, fatta solo di suoni di pioggia e di vento. L’effetto era un po’ ambient, ma funzionava.
Più costruita e articolata era la «Konzertinstallation» Zentral Park di François Sarhan (compositore nato nel 1972, che si definisce «occasionalemente scrittore, enciclopedista, movie maker, regista e performer»): un lavoro «per spazio e ensemble», realizzato in un maneggio per cavalli, con elettronica e videoproiezioni, e l’ensemble (lo Studio musikFabrik) disposto in piccoli gruppi intorno al pubblico. Una musica molto frammentata, legata alla parola e al gesto, molto teatrale, giocata su un testo poetico (Blind bodies) che parlava della morte e del ciclo della vita, su parole accelerate e ritmate, su video di battitori alle fiere di cavalli americane. Il concetto di “istallazione sonora”, la teatralizzazione dell’esecuzione musicale, permeava anche alcuni lavori orchestrali, a partire da Mistel Album di Manos Tsangaris, che apriva la rassegna nel concerto della SWR Sinfonieorchester diretta da Emilio Pomàrico. Tutti i concerti di Donaueschingen sono in diretta radiofonica. E questo pezzo iniziava sulla coda di un notiziario trasmesso anche in sala. Una speaker, molto professionale, inanellava notizie serie e drammatiche, che via via diventavano sempre più frivole e sciocche (il progetto di un nuovo canale accanto a Bosforo, la moda dei costumi tradizionali bavaresi, i furti di biciclette in Cina). La realtà (dei media) diventava surreale, l’orchestra cominciava a suonare accompagnando il notiziario, il pubblico via via capiva che tutto era parte della performance, e rideva a crepapelle. La qualità musicale, in questo caso, era piuttosto inconsistente, ma l’effetto esilarante. Forse la prima volta che così tante persone ridevano in un concerto di musica contemporanea.
Gli esperimenti “multimediali” più interessanti, geniali, giocosi, si sono però visti nel concerto finale (diretto da François-Xavier Roth), nei lavori di Ondřej Adámek (compositore ceco nato nel 1979) e Simon Steen-Andersen (compositore danese nato nel 1976). Körper und Seele di Adámek rivelava assai bene lo spirito curioso e iconoclasta del compositore, che ha studiato a Parigi ma anche in Kenya e in Giappone, e che è sempre stato stimolato da culture musicali diverse. In questo lavoro si ispirava ad alcune poesie di Sjón (il poeta islandese celebre per i testi delle canzoni di Björk, e autore del libretto della nuova opera di Adámek, che andrà in scena a Aix nel 2016), che parlano della leggerezza dell’anima e della pesantezza del corpo, e descrivono gli organi del corpo come fossero strumenti di un’orchestra. Il compositore è stato anche attratto da alcuni rituali sciamanici della Lapponia, che riconducono la dimensione spirituale ai rumori corporali della digestione. Ha quindi utilizzato, insieme al coro e all’orchestra, la sua ultima invenzione, la «Air-Machine», un infernale apparecchio che suonava, gonfiava palloncini e guanti di gomma. Una specie di totem che sembrava respirare, che si trasformava in un organo dalle canne di plastica, che dava vita a buffi animaletti gonfiabili. Il grottesco dualismo tra anima e corpo si materializzava nel contrasto tra suoni grevi, pesanti, molto fisici, e armonie eteree, tra modalità ortodosse di esecuzione, e soffi, rumori, trombette, palloncini usati come strumenti musicali.
Nuovi orizzonti musicali apriva anche il Concerto per pianoforte di Steen-Andersen, che si è anche aggiudicato il premio dell’orchestra dell’SWR. In questo lavoro si confrontava con la tradizione classica, ma cercando un suono particolare, una «musica rotta», duplicano il solista (Nicolas Hodges), facendolo duettare con un suo doppio, proiettato su uno schermo. Questo alter ego del pianista suonava però su uno strumento distrutto, con un suono distorto e percussivo che assomigliava a quello di un pianoforte preparato, mentre un video mostrava quel pianoforte a coda che veniva sollevato da una gru e fatto precipitare a terra. Il gioco era sottile, ambiguo, virtuosistico, si muoveva tra ordine e caos, tra reale e virtuale, tra suono e rumore, tra analogico e digitale, sfruttando la registrazione di suoni pianistici staccati e glissati, montati a una velocità estrema nella parte del pianista virtuale, alcune citazioni beethoveniane (dal primo Concerto per pianoforte e dall’op.101), alcuni effetti ironici, come la danza ritmata sul “loop” dello schianto del pianoforte.
Ma a Donaueschingen non sono mancati esempi di musica “pura”. Nel concerto inaugurale si sono ammirati Nacht di Friedrich Cerha, compositore quasi novantenne ma vivace e fantasioso, come dimostrava questa partitura capace di evocare le immensità del cielo notturno attraverso una materia orchestrale brulicante, fantasmagorica, ma anche intimamente lirica, come un canto notturno trasfigurato, punteggiato da lontane voci della natura; „Oh cristalina …“ di Hans Zender, ieratico, geometrico lavoro per tre gruppi di voci e di strumenti, basato su versi di Juan de la Cruz; il caleidoscopico Ibant obscuri sola sub nocte per umbram di Hanspeter Kyburz, che prendeva spunto dall’Eneide e confermava le abilità di orchestratore del compositore svizzero.
Il Klangforum di Vienna, diretto da Ilan Volkov, ha eseguito Sound As Will, il nuovo concerto per tromba di Wolfgang Rihm, lavoro molto articolato, basato su fitti dialoghi strumentali continui, con la tromba solista sempre in gioco, in funzione concertante (solista Marco Blaauw). Scrittura anche troppo densa, un “horror vacui” cui si contrapponeva, nello stesso concerto, il nuovo pezzo di Salvattore Sciarrino, Carnaval, per cinque voci (Neue Vocalsolisten) e dieci strumenti (Klangforum), così rarefatto da apparire afasico. Notevoli invece alcuni lavori eseguiti dall’Ensemble Modern, diretto da Jonathan Stockhammer: Inconjunctions di Brian Ferneyhough, caratterizzato da una scrittura appuntita, da un fitto gioco contrappuntistico, da scarti timbrici molto netti, e points & viewsdi Peter Ablinger, che intrecciava frammenti di linguaggio parlato (accelerato) e rumori registrati.