Il Comunale di Bologna propone una inedita fruizione dell’opera di Mozart; sapiente equilibrio la direzione di Michele Mariotti
di Simone Caputo foto Rocco Casaluci
IN UN PROGRAMMA DI SALA DEL 2002 dedicato al Flauto magico, Sergio Sablich, centrando la questione cruciale che si trova ad affrontare chi mette in scena la Zauberoper mozartiana, si domandava: «Favola o dramma? Il problema del Flauto magico sta tutto in questa domanda. Nella storia dei suoi allestimenti si è avuta un’oscillazione pendolare tra due impostazioni, allegorica e realistica. Manca purtroppo il materiale iconografico originale della prima rappresentazione viennese del 1791; tuttavia le incisioni dell’epoca permettono di risalire alla “messa in scena di periferia” di Schikaneder: teatro d’effetto, molto agile, di gestualità tradizionale ma di sicura presa popolare. I grandi allestimenti storici del primo Ottocento accentuarono invece l’aspetto antiquario, classicistico-egiziano […]: grandi apparati monumentali di templi e colonne, statue e obelischi, rocce e caverne, con colori fortemente suggestivi […].È nel Novecento, con la nascita della figura del regista-interprete, e prima di lui dello scenografo-interprete, che Il flauto magico entra a far parte di un’altra storia». Sablich, descrivendo la multiforme e problematica storia degli allestimenti del Flauto magico, concludeva affermando: «resta il fatto che la più completa realizzazione che fino ad oggi si sia data del Flauto magico è quella nella quale una partenza teatrale (la rappresentazione nel teatrino settecentesco di Drottningholm) si evolve in linguaggio filmico: ossia il Flauto televisivo di Ingmar Bergman. Dove è il mezzo stesso, potenziato da una progressione sapientemente scandita, a favorire il ricongiungimento di fiaba e dramma, e nello stesso tempo a intendere il valore dell’opera come spettacolo immanente che concilia la piena coscienza dell’adulto con gli stupori dell’infanzia».
E non potevano che ripartire da Bergman i Fanny & Alexander (Luigi De Angelis, regìa e scene; Chiara Lagani, drammaturgia e costumi) per il loro allestimento del Flauto Magico, dal 16 al 24 maggio al Teatro Comunale di Bologna: un allestimento originale, ma rispettoso del “testo” mozartiano, ispirato all’opera, più volte citata, del maestro scandinavo e coadiuvato dalla magnificenza delle voci e dal sapiente equilibrio della direzione di Michele Mariotti (oramai raffinato “padrone” dell’orizzonte mozartiano), che ha riscosso l’entusiasmo e il plauso di tutto il pubblico. Mariotti, optando per un’interpretazione coerente e attenta alle dinamiche eminentemente teatrali dell’opera, ha contribuito a illuminare personaggi e voci: quelle bianche e surreali dei tra fanciulli, il brillante amalgama timbrico delle dame, l’emissione nasalizzata di Monostratos (Gianluca Floris), il tono rassicurante di un Sarastro imponente (Mika Kares), la vocazione antieroica di Tamino (Paolo Finale), una Pamina dolce ma non sdolcinata (Maria Grazia Schiavo), l’intimo e al contempo accattivante Papageno (un magnetico Nicola Ulivieri), e – su tutte – le limpide acrobazie della Regina della Notte (una Christina Poulitsi dai sovracuti impeccabili e sempre disinvolta).
[restrict]
Non era scontata, ma non meraviglia la capacità dei Fanny & Alexander – collettivo ravennate, attivo nel teatro di ricerca, con più di venti anni di esperienza alle spalle – di evitare, al debutto in una regìa d’opera, quegli incauti eccessi che spesso il titolo mozartiano solletica: chi conosce i loro lavori teatrali aveva già avuto modo di notare l’appassionata e competente attenzione all’interazione tra musica e scena (testimonianza sono il lungo sodalizio con Mirto Baliani, le collaborazioni con Luigi Ceccarelli e il gruppo di ricerca di Tempo Reale, il dittico di opere in un atto South/North del 2009). Il flauto magico è un’opera pervasa di mistero, avvolta in un’aura favolosa: accettare questa condizione, senza specularci sopra a dismisura – come fatto dai Fanny & Alexander – è l’unica via per entrare dentro il suo mondo sganciato da una logica drammatica coesa, stringente e unitaria.
Luigi De Angelis e Chiara Lagani hanno puntano sulle qualità oniriche del Flauto magico, mettendo al centro il dispositivo della visione che lega il teatro all’audiovisivo, attraverso la straniante esperienza del 3D (sviluppato da ZAPRUDERfilmmakersgroup) che accompagna numerose scene del Singspiel. Ai diversi piani previsti da Schikaneder e Mozart, sospesi tra realtà e simbolo, Fanny & Alexander ne aggiungo uno ulteriore: producendo una narrazione del teatro nel teatro, il contenuto dell’opera è affidato alle mani candide di due bambini (omaggio ai bergmaniani Fanny e Alexander), protagonisti delle immagini 3D. Essi giocano con la scatola magica del teatro, osservandola come fossero dietro un otturatore: gli accadimenti sul palco sono il gioco incantato di due bambini, e il pubblico, osservato da occhi innocenti e indulgenti, è anch’esso parte del diletto immaginario. Una sottolineatura dell’apparentemente innocente finzione mozartiana che fa risaltare con ancora più forza quei temi, propri dell’epoca rivoluzionaria, nascosti dietro l’iniziatico cammino di Tamino e Pamina verso sapere, amore e felicità: l’autorità e il suo fondamento, il contrasto tra armonia e caos, il desiderio d’uguaglianza, la fiducia in una nuova e luminosa epoca. Altro dispositivo visivo al quale l’allestimento ha fatto ricorso è quello fotografico: pannelli colorati che si aprono e chiudono come diaframmi – che richiamano costantemente, attraverso la figura del triangolo, l’ideologia massonica che guidò Mozart – e quinte illuminate da luci colorate sembrano ricordare all’ascoltatore che Il flauto magico, proprio perché fondato sul ribaltamento delle prospettive e sulla logica dell’indeterminatezza, necessita di una messa a fuoco continua.
In quest’ottica, la scelta di puntare per alcune scene, soprattutto del secondo atto, sui soli pannelli “diaframmatici”, non va confusa con mancanza di idee: messi a fuoco i diversi livelli sui quali agiscono le coppie di personaggi, lo spettatore è chiamato a concentrarsi sulle virtù musicali con cui Mozart interpreta e spesso chiarisce il libretto, e naturalmente sul canto. Il clima di attesa che si produce quando la musica tace è la premessa affinché la tensione drammatica si intensifichi, sfociando poi nel canto accompagnato dall’orchestra, nell’azione permeata e definita dalla musica: su questo equilibrio riposa la teatralità del Flauto magico, e regia e direzione ne colgono a pieno l’importanza.
La scommessa che il Singspiel mozartiano pone a chi vi si avvicina è stata vinta: far sì che la complessità dell’opera si risolva – proprio come accadde allo scompigliato pubblico del Theater auf der Wieden di Vienna nel 1791 – in una sorta di libera scelta da parte dello spettatore, prendendolo comunque per mano, senza infliggergli forzatamente alcun cimento esegetico.
[/restrict]