Francesco Libetta e Vincenzo Maltempo hanno eseguito a Cisternino la trascrizione di Franz Liszt
di Luca Chierici
LA TRASCRIZIONE PER PIANOFORTE DELLE NOVE SINFONIE di Beethoven costituì per tutto l’800 e oltre un problema non indifferente da affrontare per molti musicisti. La complessità polifonica, l’estrema densità del linguaggio, la varietà timbrica degli originali richiedevano spesso l’intervento di due strumenti a tastiera, che meglio rispondevano alle esigenze del trascrittore piuttosto che le versioni per un solo pianoforte a quattro mani o ancor più del pianoforte solo. Vi erano certamente sinfonie più o meno difficili da trascrivere e la palma della difficoltà andava ovviamente alla “nona” che richiedeva anche l’intervento del coro e dei solisti di canto. Franz Liszt fu tra coloro che si dedicarono a questo compito, nell’intento di creare non tanto dei pezzi da concerto ma dei veri e propri strumenti di lavoro per lo studioso che non poteva avere a disposizione mezzi automatici di riproduzione del suono. Le trascrizioni di Liszt, al contrario delle fantasie o parafrasi melodrammatiche, rivolte al momento dell’esecuzione concertistica, erano perciò condotte nel rispetto assoluto della partitura originale e ciò comportava il fatto che il prodotto finale richiedesse spesso una tecnica esecutiva di livello trascendentale.
Questo carattere tutto particolare era stato messo in luce già da Schumann all’epoca della propria famosa recensione della Symphonie fantastique di Berlioz, condotta non sulla base di un ascolto personale ma in seguito alla pratica pianistica della trascrizione operata da Liszt: «…Liszt l’ha condotta con sì grande diligenza ed entusiasmo ch’essa deve essere considerata come un’opera originale, come un résumé dei suoi studi profondi, come una scuola pratica di pianoforte per la lettura di partiture. Quest’arte dell’interpretazione, così interamente diversa dalla cura del virtuoso nel mettere in rilievo il particolare, la multiforme varietà di tocco che esige, l’efficace uso del pedale, il chiaro intrecciarsi delle singole parti, il riassunto di tutte le masse, la conoscenza, in breve, dei mezzi e dei molti segreti che ancora nasconde il pianoforte – tutto questo può essere l’affare d’un maestro soltanto e d’un genio dell’interpretazione, quale Liszt è da tutti considerato».
Le osservazioni di Schumann possono a buona ragione valere anche quando consideriamo l’elaborazione lisztiana delle sinfonie di Beethoven, che copre un lungo arco di tempo (dal 1830 circa al 1863-64, anno dell’ultima e definitiva revisione) e riflette le numerose difficoltà di ordine tecnico incontrate da Liszt durante il suo lavoro. Nell’edizione Breitkopf del 1840, compaiono solamente le trascrizioni a due mani delle sinfonie nn. 5, 6, 7 e dell’Adagio dell’Eroica. L’importanza della nona sinfonia all’interno del ciclo spinse Liszt nel 1851 a optare per una riduzione a due pianoforti, l’unica che a quell’epoca gli appariva possibile per far fronte alla complessità della partitura originale. Fu solamente nella tranquillità dell’eremo francescano a Monte Mario, dove Liszt si era ritirato nel 1863 in preda a un’ondata di misticismo, che il musicista prese di nuovo in considerazione la possibilità di proseguire il lavoro di trascrizione per pianoforte solo delle sinfonie mancanti. Breitkopf invia prontamente al recluso le partiture delle sinfonie e Liszt si rimette al lavoro,non senza esternare i propri dubbi all’editore: «come posso instillare respiro e anima, suono e potenza, solennità e ricchezza, accenti e colori ai vuoti martelletti del pianoforte? ».
Al termine di una serie di esperimenti in ogni direzione sono incapace di negare la completa impossibilità di un arrangiamento soddisfacente anche solo in modo parziale del quarto movimento. Spero che non ve la prenderete se considero i miei arrangiamenti delle sinfonie di Beethoven giunti al termine a questo punto. Franz Liszt
In ogni caso il prodotto di qualche mese di lavoro sembrò portare al completamento della serie; se non fosse che mancava all’appello ancora la versione a due mani della nona sinfonia. Nel 1864 Liszt arriva a stendere i primi tre movimenti; nulla da fare per la grande conclusione corale: «Al termine di una serie di esperimenti in ogni direzione sono incapace di negare la completa impossibilità di un arrangiamento soddisfacente anche solo in modo parziale del quarto movimento. Spero che non ve la prenderete se considero i miei arrangiamenti delle sinfonie di Beethoven giunti al termine a questo punto. Non mi interessa produrre una semplice riduzione di partitura ad uso dei direttori di coro. Arrangiamenti di questo tipo già esistono, e mi dichiaro incapace di ottenere un prodotto migliore…a dire il vero, sono convinto che nessuno sia oggi in grado di raggiungere lo scopo». Liszt bollava così tutti i tentativi precedenti messi a punto da professionisti quali Kalkbrenner e Winkler (e persino di Wagner, autore anch’egli di una poco conosciuta trascrizione a due mani della nona sinfonia). Pochi mesi erano passati da questa lettera molto pessimistica a Breitkopf, che l’editore era già in grado di pubblicare la serie completa,con il difficilissimo quarto movimento della nona portato a termine dallo stesso Liszt. L’edizione completa delle nove sinfonie apparve nel 1864 con dedica a Hans von Bülow.
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L’ascolto in concerto di qualcuna delle sinfonie di Beethoven nella trascrizione a due mani è evento non molto frequente e non ricordiamo di avere mai ascoltato dal vivo la Nona, che talvolta viene presentata nella versione del 1851 a due pianoforti, anch’essa irta di difficoltà. Per una esecuzione ottimale di quest’ultima occorrono due pianisti non solamente agguerriti dal punto di vista tecnico – ivi inclusa la capacità di operare sottili differenziazioni timbriche richieste dalla scrittura lisztiana – ma anche esperti conoscitori della partitura originale e della storia dell’interpretazione fatta di numerosissime esecuzioni e incisioni da parte di direttori celebri e di orchestre di primo livello. È quello che è accaduto lo scorso 29 agosto a Cisternino, in provincia di Brindisi, dove si sono esibiti i magnifici pianisti Francesco Libetta e Vincenzo Maltempo. Complici gli illuminati sponsor locali, si è concretizzato il progetto di una serata davvero insolita per la piccola ma culturalmente vivace cittadina e per il suo teatro dedicato a Paolo Grassi, che spesso ospita anche alcuni spettacoli del cartellone del Festival della Valle d’Itria. Il successo della serata ha convinto i due pianisti a offrire un impegnativo bis, la trascrizione del poema sinfonico Les Préludes di Liszt ad opera dello stesso autore, chiudendo così il programma sulla falsariga del tema di apertura.