Ensemble Intercontemporain diretto da Julien Leroy e 33 ⅓ Collective alla Philharmonie. Nuova produzione per la composizione ispirata al regista, attore e teorico Antonin Artaud
di Barbara Babic
SEMBRA QUASI UN’IRONIA DELLA SORTE il fatto che la nuova produzione firmata Ensemble Intercontemporain, Philharmonie de Paris e Arcadi Ile-de-France dall’irriverente titolo No More Masterpieces debutti la stessa sera e a pochi metri di distanza dal concerto sold out dell’Orchestre de Paris impegnata in un Requiem di Mozart nella Grande Salle della Philharmonie (il 14 gennaio). Eppure “no more masterpieces”, traduzione inglese di “en finir avec cette idée de chefs-d’œuvre”, è un rimando diretto a una frase dell’attore, regista e teorico Antonin Artaud contenuta nel suo manifesto Il teatro della crudeltà (1932), in cui teorizza un teatro dell’azione totale che si avvicina a un rituale magico, un’esperienza catartica da realizzarsi in primo luogo su un livello sensoriale più che testuale.

Ad Artaud si è ispirato anche Wolfgang Rihm per il suo Concerto Séraphin, presentato per la prima volta il 17 settembre 2008 al Radialsystem di Berlino: soggetto ricorrente nella poetica del compositore tedesco, il teatro di Séraphin è non solo il saggio artaudiano contenuto in Il teatro e il suo doppio (1938) ma anche un locale parigino dove si proiettavano fino al 1870 spettacoli di ombre cinesi che Baudelaire aveva definito piuttosto allucinogeni.
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Al 33 ⅓ Collective, collettivo fondato nel 2008 dai tre artisti olandesi Douwe Dijkstra, Jules Van Hulst e Coen Huisman, è affidato il compito di dare un’immagine alla densa partitura di Rihm. Per quest’occasione hanno concepito una struttura video molto particolare sbarfotou cui prende vita un teatro di oggetti e di luci ispirato ad alcuni disegni e fotografie del drammaturgo francese come del resto al suo pensiero teatrale.
Il tutto si traduce qui in un flusso di visioni ora allucinate, ora paradossali, ora ripugnanti, ora drammatiche, in un gioco di rimandi a situazioni, parti del corpo e forme (una sezione di un tronco d’albero, punti, linee, zig zag) che in fondo sembra dar vita a una riflessione sulla materia, sulla sua creazione originaria, sulla sua distruzione (gli oggetti pressati) e la sua riproduzione (la fotocopiatrice). A tratti poetico, apocalittico, ironico, vagamente estetizzante, il video in bianco e nero del 33 ⅓ Collective bombarda il pubblico di azioni e sensazioni, lasciando con il fiato sospeso e molti punti interrogativi per buona parte del tempo. Poi d’improvviso si compie la catarsi, quando come per magia all’apice del climax musicale, lo schermo si ripiega su se stesso formando una nuvola bianca sospesa sopra l’ensemble.
Eccolo lì il “masterpiece”, trasformato in un foglio di carta accartocciato che prende fuoco piano piano, a ricordare i limiti tra la parola, il gesto e il pensiero. Suggestivo, forse di tanto in tanto fin troppo celebrale, il concept video ben si sposa con la musica di Rihm, in particolare dal punto di vista ritmico, accompagnando serratamente ora i momenti più frammentati della partitura ora quelli più tesi. Julien Leroy si districa magistralmente nella direzione di questa pagina, facendone emergere non solo gli inusuali accostamenti timbrici ma anche il lato più sensoriale ed emotivo. Nell’ensemble spiccano la flautista Sophie Cherrier e i due pianisti Géraldine Dutroncy e Sébastien Vichard, impegnati in un breve momento di dialogo a due mentre sullo sfondo l’immagine di materia rocciosa si disgrega lentamente. Accanto al coup de théâtre sopracitato rimane senza dubbio il più bel ricordo di questa serata.
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