Concerto di successo per solista e direttore con la Swedish Radio Symphony Orchestra a Torino per Lingotto Musica
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di Attilio Piovano foto © Pasquale Juzzolino
È stata di gran lunga una delle serate più emozionanti, quella di martedì 26 aprile 2016, all’Auditorium ‘Agnelli’ di Torino, per la stagione di Lingotto Musica: protagonisti la Swedish Radio Symphony Orchestra in una forma a dir poco smagliante, Daniel Harding sul podio e solista di lusso la fuoriclasse del violino Veronika Eberle. Al tempo stesso, protagonista il sommo Brahms cui era monograficamente consacrato il programma. Felice idea davvero quella di accostare il lirico ed effusivo Concerto per violino op. 77 alla Seconda Sinfonia, delle quattro del musicista amburghese la più teneramente affettuosa.
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Ed è proprio su questo aspetto che ha posto l’accento Harding, mettendo magnificamente in evidenza quella continuità espressiva che caratterizza i primi due movimenti della Seconda, con quel carezzevole secondo tema dell’Allegro non troppo raramente apparso così strabocchevole di intimismo e struggente melanconia crepuscolare. Quanta delicata cantabilità nel secondo tempo, e poi quante delizie nell’arcaicizzante Allegretto grazioso (Quasi Andantino), ma anche quanto humour nella zona più nervosa, mercuriale, in cui gli strumentini s’infiammano con arguzia. Il vero incendio, però, nel flamboyante e giubilante Finale che Harding ha affrontato infondendovi un’insolita energia, fin dall’attacco, scherzoso e sotto traccia, come un sorriso benevolo, salvo poi fiondarsi con scatto felino nelle più estroverse zone di questo stupendo movimento che si chiude all’insegna di un’ottimistica e solare fanfara.
Della Seconda Harding ha dato un’interpretazione centratissima ed appropriata quanto ad ambientazione espressiva, a dir poco esemplare, una vera lezione di stile, ben assecondato da una formazione di alto livello, con ottimi archi, bei legni, ottoni garbati e incisivi. È molto cambiato, Harding, negli anni: ha smussato certe sue intemperanze, certe sue bizzarrie nello stacco dei tempi, sicché raramente è accaduto di ascoltare un Brahms così foriero di emozioni.
Emozioni che analogamente non sono mancate nel corso del Concerto per violino. Grazie al puntuale lavoro di cesello condotto da Daniel Harding, abile nel raccogliere e rilanciare gli spunti di danza che qua e là allignano, nel far cantare gli archi in maniera strepitosa e via elencando. Grazie altresì all’interpretazione eccezionale di Veronika Eberle: classe 1988 una carriera ormai di altissimo profilo, tecnica agguerrita e solida, bel suono, bei fraseggi, delicatissima dove occorre (in certe note filate del tempo lento), ma vigorosa ed energetica quanto occorre nel rude e ‘ungherese’ Rondò conclusivo. Sa sfoderare cantabili di indicibile bellezza e nel contempo mostra un’incredibile grinta, quella grinta che di solito solo i violinisti sotto i trent’anni sanno sprigionare, rivelando un magnetismo notevole. E non solo nei passi di bravura, ma altresì in quelle zone d’ombra, in quei trasalimenti che del Concerto op. 77 costituiscono uno dei motivi di maggior fascino. Vigoria ed appeal, eleganza, raffinatezza, appropriatezza di stile e capacità di ‘tenere’ il pezzo in toto. Che altro di più?
Applausi prolungati da parte di una sala gremitissima e un insolito bis: il movimento lento dalla Sonata in re maggiore per violino solo op. 115 di Prokof’ev dal melodismo naïf e piena di candore. Per par condicio bis anche da parte dell’orchestra e s’è trattato d’una delle più gigione e spiritose Danze salve op. 72, la n° 3 in fa maggiore, tutta echi folklorici e bonarie boutades, del solare Dvořák, che di Brahms, si sa, aveva enorme stima. Dunque un bis non certo casuale, bensì in piena sintonia col bel programma.
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