Apertura di stagione 2016-17 con il neo direttore James Conlon, molto applaudito
di Attilio Piovano foto © PiùLuce
Apertura di stagione a dir poco trionfale, per l’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai, a Torino, la sera di giovedì 20 ottobre 2016, come ha di certo potuto constatare chi ha seguito la diretta televisiva su Rai 5, ovvero il collegamento radiofonico su Radio 3 (per “Radio 3 Suite”). Analogamente, successo pieno anche la sera di venerdì 21, in occasione della consueta replica (abbonamento turno rosso); il pubblico a fine serata ha accolto con convinti e protratti applausi un’interpretazione obiettivamente di alto livello della mahleriana Quinta Sinfonia. A guidarla il neo direttore principale dell’OSNRai, lo statunitense James Conlon: dirige per intero a memoria sfoderando un gesto esuberante e nitido, mai fine a se stesso, sempre funzionale al risultato desiderato, precise e in qualche caso dirompenti le idee interpretative.
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Fin dall’attacco della Trauermarsch si è capito che si sarebbe trattato di una Quinta di gran classe con quella fantomatica ‘fanfara’ della tromba, plastica e indimenticabile idea sonora in apertura di un movimento fatalistico, dal colore vistosamente tragico. Dopo gli appelli soffocati dell’esordio, ecco poi subito il collidere magmatico e tellurico delle masse sonore che Conlon non ha timore di scatenare, a costo talora di eccedere in qualche apice fonico un po’ troppo altisonante e cinematografico (ottoni e percussioni sovrastanti, un po’ made in USA), potendo contare bensì su un complesso in gran forma. E allora ecco certi passi del primo tempo apparsi davvero terrificanti, in tutto il loro tellurico turgore. Bene poi anche il movimento Agitato e tempestoso che vi fa seguito, con quegli urti sonori come inalienabili appelli, e il senso della catastrofe imminente ed ‘immanente’ che Conlon ha reso ancor più palpabile imprimendo tempi scorrevoli e giocando con sapienza su un ampio divario dinamico: frutto evidente di un accurato quanto puntuale lavoro di concertazione.
Anche i cantabili struggenti in cui Mahler è maestro sono emersi al meglio, e pazienza se Conlon sacrifica qualcosa attenuando un poco quel languore, quelle estenuazioni che altri direttori invece esaltano (forse a dismisura e talora capziosamente); e allora ecco che il celeberrimo Adagietto, inscindibilmente legato alle immagini di Morte a Venezia di Luchino Visconti, pur risultato toccante comme il faut, ha sofferto un poco in tal senso, affrontato con sonorità già significative, già ‘corpose’ fin dalle prime note (laddove siamo abituati ad ascoltarlo esordire con rarefazioni indicibili e tenui delicatezze che paiono farlo sorgere come da un mondo immateriale). Un’interpretazione personale e pur coerente quella di Conlon. Ciò detto, avremmo desiderato un po’ più di cesello e più cura nella pasta degli archi, nel cantabile, ma è un dettaglio.
Per contro lo Scherzo che precede l’Adagietto ha convinto appieno: Conlon ha saputo coglierne bene l’essenza, che – si sa – consiste in un curioso quanto fascinoso mix di popolaresco, estroverso Ländler e di pathos sofferto, affibbiandogli quel colore ora sfavillante, ora livido, grazie a una screziata ‘paletta’ timbrica: tant’è che è apparso sghembo e quasi cubista quanto occorre, privato di quelle macerazioni che talora rischiano di trasformarlo in un quid di eccessivamente decadente. Anche il passo centrale, quello in guisa di stranita serenata notturna poteva essere un poco più delicato: ma Conlon evidentemente è così che ‘sente’ la Quinta, pigiando più il pedale sull’aspetto sfolgorante che non sul versante intimista.
Trascinante e irresistibile il Finale, vero e proprio macrocosmo, come il portato dell’intero universo tardo-romantico, ovvero di una civiltà – quella austro-tedesca – giunta orami al capolinea, a un passo dalla catastrofe della Prima Guerra Mondiale. Ottime tutte le prima parti, salvo qualche occasionale défaillance, ma di piccolissimi nei si è trattato, sicché l’OSNRai si conferma ben piazzata e quasi in pole position, accanto a Filarmonica della Scala, Santa Cecilia e Maggio Musicale, tra le quattro migliori orchestre italiane, in grado di competere, quanto a qualità e livello di maturità con le più blasonate compagini internazionali.
A controbilanciare sanamente l’impegno richiesto da Mahler ecco che in apertura di serata s’era ascoltata la deliziosa Quinta di Schubert, capolavoro formato mignon, frutto della creatività dell’autore dell’Incompiuta all’epoca appena diciannovenne. Conlon ha ben evidenziato il carattere haydnan-mozartiano della partitura, fin dal primo Allegro impregnato di verve ritmica. Lo ha affrontato marcando bene i ritmi squadrati senza renderlo peraltro banale e sciatto come altri direttori (che prendono sotto gamba una Sinfonia tanto nitida e apodittica quanto amabile e ricca di preziosità). Bene poi il tono arcadico dell’Andante con moto, qualche intemperanza forse solo nel Minuetto, apparso eccesivamente Stürmisch in anticipo sui tempi: ma è pur vero che, con quei suoi spostamenti d’accento, quelle insistite settime diminuite, è un vistoso quanto intenzionale calco della mozartiana K 550, ed il sol minore di impianto esalta ancor più l’esibita analogia da parte dell’adolescente Schubert. Sicché farne un movimento pre-romantico appare quasi del tutto legittimo.
Da ultimo scioltezza e brio nel finale affrontato a velocità ragguardevole ed infondendovi una pimpante souplesse, con garbo, grazia e intelligenza interpretativa. Un buon inizio, ovvero la premessa migliore per una nuova grande stagione, con bei nomi del solismo internazionale. E le emozioni, anche quest’anno, non mancheranno di certo.
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