La raffinata rassegna cameristica ha ospitato la forbita orchestra coloniense, in rara apparizione italiana. Accanto al violino solista di Giuliano Carmignola si è distinta la Konzertmeisterin Mayumi Hirasaki
di Francesco Lora
Non capita spesso d’ascoltare in Italia l’orchestra con strumenti originali Concerto Köln; tra quelle tedesche è forse essa la più nobile, forbita e adamantina, nonché la più immediatamente riconoscibile al gesto e alla fonetica: vibrato quasi del tutto bandito, arcate nette e lunghe, sonorità affilata e ronzante, timbro di bagliore algido e argenteo. Per chi ammiri la sua ricca discografia senza poter poi presenziare a tournée lontane, una rara occasione d’incontro è avvenuta il 12 dicembre all’Auditorium Manzoni di Bologna, nell’àmbito della sempre raffinata rassegna cameristica di Musica Insieme: un’istituzione che sta attualmente festeggiando i suoi primi trent’anni d’attività, e che esibisce dunque con orgoglio il lusso delle proprie amicizie e alleanze artistiche. Anche l’ensemble strumentale coloniense ha recato con sé un compagno, il violinista Giuliano Carmignola, e ha incentrato così il programma presentato sulla letteratura solistica per il più acuto nella famiglia degli archi.
Il virtuoso italiano esce sbrigativo in palcoscenico per suonare i Concerti in La minore, in Mi maggiore e in Re maggiore BWV 1041-43 di Johann Sebastian Bach (1718-23): con un ragionevole ma disinibito ricorso al vibrato si distacca dallo sfondo dell’orchestra che lo accompagna, e così pure per un suono più sordo, virile e ombroso, che pare sentenziare con tono perentorio anziché cantare in grazioso registro di soprano. Un vivace contrasto s’inserisce in tal modo nel terzo dei concerti bachiani, dove la parte del secondo violino solo è tenuta dalla Konzertmeisterin Mayumi Hirasaki, taciuta in locandina per inspiegabile eccesso di modestia: si tratta di una violinista che, con indirizzo poetico complementare a quello di Carmignola, e in barba al fatto di essere stata di lui allieva, rincorre e consegue il suono brillante, la frase arguta, l’ornamentazione rapinosa, il maniacale puntiglio tecnico di una giapponese naturalizzata tedesca.
Addolcendo la bocca a chi s’aspettava d’ascoltare Carmignola come unico mattatore dell’esecuzione – così il manifesto sembrava promettere – è ella a tenere le redini di quanto resta nel programma: il Concerto grosso in Sol minore op. 1 n. 12 di Pietro Antonio Locatelli (1721), il Concerto XI in Sol maggiore di Charles Avison (uno dei dodici ispirati a sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti, 1744) e la Sinfonia in Re maggiore dall’oratorio Gioas di Benedetto Marcello (1726): la presentazione della serata musicale, nella brochure, indicava il brano come «omaggio al 350° anniversario dell’Accademia Filarmonica di Bologna» cui l’autore «fu aggregato … nel 1712»: ma allora perché non chiedere e ottenere dal Concerto Köln un brano di Giuseppe Torelli, o di un qualsiasi altro compositore che, a differenza del collega veneziano, abbia contribuito non solo per onorifico accidente alla storia di quel consesso?