di Francesco Fusaro foto © Mark Allan
Gerald Barry alla seconda prova operistica ed è un altro strike. Anzi, ‘prova operistica’ è una espressione fuorviante in questo caso, per due semplici motivi: 1) l’approccio al teatro musicale del compositore irlandese è così trasversale da rendere l’etichetta davvero limitante; 2) la prima europea ascoltata ieri sera al Barbican Centre di Londra si limitava purtroppo ad una versione concertistica, lasciando solo supporre che cosa possa essere sul palco questa sua nuova Alice’s Adventures Under Ground. Ciò non toglie che di teatro musicale si trattasse, con o senza le implicazioni operistiche del caso. Commissionata da una cordata composta dalla Los Angeles Philharmonic Association, da Gustavo Dudamel, dalla Britten Sinfonia e dal Barbican Centre, Alice’s Adventures Under Ground è infatti l’ideale prosecuzione della ricerca avviata da Gerald Barry con The Importance of Being Earnest, funambolico approccio al materiale di Wilde di cui avevamo già avuto modo di parlare sulle pagine del Corriere Musicale.
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Passati quattro anni dalla conclusione di quella partitura, Barry torna ad un altro classico della letteratura inglese che ha generato innumerevoli variazioni sul tema nell’arte, nel teatro, nel cinema ed ovviamente nella musica. Lo fa ovviamente alla propria maniera, ovvero facendo confluire le vicende di Alice’s Adventures in Wonderland con quelle di Through the Looking-Glass, seguito letterario del best seller di Carroll al quale dobbiamo, fra le altre, un’orrida performance di Tim Burton.
Il risultato è a dir poco strepitoso fin dal libretto, vergato dallo stesso Barry: i piani linguistici dei due romanzi, già sufficientemente stratificati da aver generato nei decenni le letture simboliche più fantasiose, si infittiscono di rimandi alle diverse traduzioni dei libri di Carroll (russo, francese, tedesco), si piegano al mondo musicale (le lezioni di croquet che diventano lezioni di piano) e si intrecciano con le citazioni musicali di cui Barry è famoso utilizzatore. Succede così che il grammelot di Jabberwocky venga intonato sulle note della canzone da music hall It’s a Long Way to Tipperary, resa celebre durante la Prima Guerra. O che la canzone di Humpty Dumpty si accompagni alle note di Freude schöner Götterfunken di beethoveniana memoria (una vera passione di Barry, che ha anche messo in musica alcune lettere del compositore). Due esempi che dovrebbero bastare a chiarire quale posizione seriosamente ludica Gerald Barry assuma nei confronti del teatro contemporaneo; avercelo, uno così in Italia!
Certo, il suo materiale può sembrare essenziale, se non primitivo in alcuni casi: si vedano gli arpeggi e le scale che costituiscono la spassosa sfida fra l’orchestra e Alice (una magnifica Barbara Hannigan, meritatamente applaudita dal pubblico alla fine della performance) durante la sua celebre e infinita caduta. Anche il controllo formale alle volte sembra cedere il posto ad una spontaneità di scrittura che può far impallidire alcune stanze dell’Accademia accigliata e seriosa. Detto questo, Gerald Barry è, a parere di chi scrive, fra i pochi in grado di far fare ai propri musicisti le cose più complesse dal punto di vista musicale e teatrale, rimanendo fedele allo sviluppo narrativo, per quanto psichedelico e scalmanato esso sia. Per la fortuna del compositore (presente in sala ed accolto molto calorosamente sul palco) e del pubblico, questa felice prima ha potuto contare su interpreti sopraffini (quattro voci maschili e tre femminili a coprire un totale di ben ventotto ruoli) e un’orchestra perfettamente compatta come la Britten Sinfonia di Thomas Adès. Diversamente, il vertiginoso castello musicale messo in piedi da Gerald Barry sarebbe crollato come il castello di carte della Regina di Cuori.
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