di Attilio Piovano foto © Pasquale Juzzolino
Serata di spicco al Lingotto di Torino, a ridosso del Natale, la sera di martedì 19 dicembre scorso: in programma il toccante Weihnachtsoratorium BWV 248 (Oratorio di Natale), capolavoro assoluto di Johann Sebastian Bach. Ed è stata un’occasione davvero unica e preziosa per ascoltare questo singolare ‘monumentum’ alla spiritualità luterana (e non solo). Non accade di frequente infatti – merita rimarcarlo – che un tale capolavoro venga proposto esattamente in coincidenza con i tempi liturgici. A Torino, onore del merito, è accaduto grazie all’accorta programmazione dei concerti di Lingotto Musica, per l’appunto. A interpretarlo un pool di scelti solisti con l’ensemble specialistico Le Concert Lorrain ed il Dresdner Kammerchor, guidati dalla mano esperta di Christoph Prégardien.
Di esecuzione non integrale, si è trattato, limitata dunque alla prima, quarta, quinta e sesta parte, come del resto è ormai abitudine nella prassi concertistica. Come noto, il testo bachiano s’intitola Oratorio di Natale, benché si tratti più propriamente e più ampiamente di un Oratorio incentrato sull’intero Tempo del Natale, e dunque protratto sino alla festività dell’Epifania che conclude il periodo natalizio. Che sarebbe stata un’interpretazione di lusso, foriera di emozioni, lo si è compreso fin dallo sfolgorio del vasto e pimpante coro d’esordio «Jauchzet, frohlocket» (Gioite, esultate) affrontato con scioltezza e souplesse, brano al quale Prégardien ha imposto tempi ad essere sinceri fin troppo rapidi, evitando pur tuttavia il rischio di una interpretazione per così dire nevrotica se non addirittura delirante come oggi va purtroppo sempre più di moda presso certi sedicenti barocchisti doc; saggiamente Prégardien ha saputo mantenere infatti una chiarezza di fraseggi e di articolazione ammirevoli che si sono ben riverberate sull’esecuzione. Stupenda è apparsa la compagine corale, per coesione e bellezza di suono davvero ‘fuso’ come un unico strumento, ottima l’orchestra dal corretto organico cameristico e dall’innegabile appropriatezza stilistica (con trombe naturali di alto livello per precisione e bellezza di suono), ottima poi la sezione dei legni, bene dunque gli oboi naturali – ammiratissima l’interprete del primo oboe, anche se dalla sonorità talora un po’ chioccia – apprezzati i flauti (ancorché talora poco udibili) e così pure il fagotto; sincero entusiasmo ha destato il violoncello impegnato nelle parti concertanti, ma soprattutto nel sostegno dei recitativi, in veste di basso continuo.
Molti i tratti emozionanti. Tra i passi davvero ‘alti’ l’esordio della IV parte “Per il primo giorno dell’anno” col meraviglioso coro «Fallt mit Danken» (Prosternatevi con gratitudine), coro dall’andamento in sei ottavi, ad evocare ambientazioni pastorali, al quale si è aggiunta la sonorità dei corni naturali (per la verità apparsi non sempre impeccabili). E ancora: forti emozioni – si può ben dire – abbiamo provato dinanzi al coro d’esordio della VI parte “Per la festa dell’Epifania”, col magniloquente e spettacolare pulsare dei timpani e lo squillo argentino delle trombe a suggerire la regalità, ma soprattutto ammirevole è parsa la chiarezza del sublime fugato. Il coro, poi ancora, come ovvio, è stato il vero protagonista dei molti Corali, irrinunciabile pilastro, si sa, nella concezione luterana della Kirchenmusik. E allora ecco ad esempio il commovente Corale al n. 59 «Sono qui davanti alla tua culla» dal quale si sprigiona una sorta di attonito e ingenuo stupore e così pure da segnalare l’efficacissima resa dell’ampio ed efflorescente Corale ornato che chiude l’opera, una vera gioia per le orecchie e per lo spirito (beninteso, non solamente per coloro che si dicono credenti).
Quanto alle voci soliste impegnate nei recitativi, ma soprattutto nelle arie, quasi sempre con strumenti in veste concertante, occorre operare alcuni doverosi distinguo; e allora, molto bene il basso Peter Kooij, per sicurezza, emissione, raffinatezza ed eleganza; bene poi anche il soprano Joanne Lunn, nonostante qualche eccesso di lirismo e certi passaggi affrontati con un’allure sinceramente più operistica che da oratorio bachiano, ammirata nell’aria in eco «Mio Salvatore»; voce piccola quella del contralto Margot Oitzinger (incinta, e allora ecco forse qualche problema di respirazione, col diaframma verosimilmente compresso), laddove vistose perplessità ha destato invece il tenore Markus Schäfer dalle frequenti intemperanze, pur dotato di buona tecnica, ma certi apici dinamici erano davvero fuori stile (ad esempio nell’aria brillante «Voglio vivere solo per glorificarti») e a nostro avviso del tutto inopportuni. Lo squilibrio tra le voci è emerso in maniera lampante nel terzetto n. 51. Ciò nonostante, lo si anticipava in apertura, nel complesso di esecuzione assai valida e – soprattutto – emozionante si è trattato.
Un ultimo plauso va ancora allo strepitoso Coro di Dresda – del quale conserveremo a lungo un gradito ricordo – per l’intervento conciso ed efficacissimo (quasi coro turba, come si usa dire nel caso delle Passioni) al n. 45, laddove si narra con una immediatezza drammaturgica quasi teatrale della comparsa dei Magi, così pure indimenticabile il saettare degli archi a rendere l’inquietudine e la cattiveria di Erode. Ma non sono che due ulteriori esempi: ed è soltanto per ragioni di spazio e per non tediare ulteriormente il lettore – addentrandosi in faccende troppo tecniche – che omettiamo tutta una serie di positive osservazioni pur annotate scrupolosamente durante l’esecuzione: salutata non a caso da convinti e protratti applausi nonostante il pubblico risultasse colpevolmente un poco più scarso del solito, forse in parte distratto dalla frenesia di cene e impegni mondani pre natalizi. E pazienza per chi ha perduto un’occasione preziosa per ripercorrere la partitura di questo singolare capolavoro.