di Luca Chierici
Una serata molto interessante, a metà tra un convegno segreto da Illuminati della Cineteca e un normale evento concertistico, ha avuto luogo lunedì scorso per le Serate Musicali. Si proiettavano due pietre miliari della cinematografia italiana, ambedue prodotte nel lontano 1916: Cenere di Febo Mari, con la partecipazione del nume tutelare del teatro italiano, Eleonora Duse, e Rapsodia satanica di Nino Oxilia, con l’ammaliante e sempre esagerata Lyda Borelli. Nel secondo caso le musiche di accompagnamento erano quelle scritte da Pietro Mascagni, mentre nel primo Francesco Libetta ha scelto un collage raffinatissimo di proposte (trascritte per il pianoforte ) che andavano da La figlia di Iorio di Franchetti a La Pisanella di Pizzetti, pagine comunque non esclusivamente legate al nome di D’Annunzio. Si trattava di luoghi che in parte avevamo ascoltato da lui in anni remoti e che, al di fuori dell’evento cinematografico, non convincevano del tutto. In questa serata hanno trovato tutta la loro ragion d’essere ed è sembrato che fossero stati scritti apposta (anche dal punto di vista delle durate precise al minuto secondo)per fare da sottofondo al film che sembra girato in epoche ben anteriori a quella effettiva.
Nell’intermezzo tra le due proiezioni, Libetta ha inserito una manciata di lavori a suo insindacabile giudizio. Abbiamo perciò ascoltato tra le altre cose una classica lettura della Sonata in do diesis minore di Beethoven, e la Polacca op. 53 di Chopin, eseguita provocatoriamente in maniera né polacca né eroica, come avrebbe potuto presentarla il compositore ai suoi ammiratori (soprattutto ammiratrici) inglesi durante il suo ultimo soggiorno colà alle soglie della morte. Si è trattato, dal punto di vista cinematografico, di un evidente omaggio al film Moonlight sonata (1937) che è in realtà un recital paderewskiano camuffato da film, solo che in quel caso il vecchio Leone suonava ancora la Polonaise con un fiero impeto patriottico. La reminiscenza più affascinante è consistita però nella proposta del primo movimento della Grande Sonate di Alkan, che Libetta già eseguiva in anni giovanili. Le prodezze tecniche sono rimaste pressoché uguali e forse il pianista, tra altri vent’anni, saprà rendere in maniera ancora più lancinante la bellezza disperata di quel secondo tema che rimane tra le cose più emozionanti (e relativamente poco conosciute dal grande pubblico) di tutta la letteratura romantica.
L’appuntamento è stato preceduto da una intelligente introduzione condotta da Paolo Mereghetti, esempio di come si possa parlare diffusamente e compiutamente di argomenti anche tecnici senza annoiare il pubblico, anzi stimolandone la curiosità in vista della proiezione dei due capolavori.