di Luca Chierici
Il secondo concerto scaligero dell’orchestra musicAeterna dell’Opera di Perm diretta da Teodor Currentzis ha suscitato, come ci si poteva attendere, un’ondata di entusiasmo travolgente che non si sa se attribuire di più ai criteri interpretativi scelti dal direttore, alla pervicacia con la quale l’orchestra segue ore e ore di training per raggiungere la totalità delle intenzioni di Currentzis, o al risultato di indubbio fascino che lavoro indefesso e scavo interpretativo contribuiscono a creare nel momento specifico del concerto in teatro. I contorni del vero e proprio spettacolo cui si assiste (spettacolo per le orecchie ma anche per gli occhi) non mancano di mostrare dettagli particolari come quello della posizione in piedi degli orchestrali, violoncelli esclusi per ovvi motivi, o quello che concerne i movimenti flessuosi del direttore, che al posto della bacchetta impiega le dita ricordando l’esempio di un altro divo del podio qual è Gergiev.
Lo scorso anno in molti eravamo rimasti sorpresi, non sempre piacevolmente, da una lettura provocatoria della settima sinfonia di Beethoven e di una ancor più provocatoria (anche perché ripetuta come bis) resa dell’Ouverture dalle Nozze di Figaro. Il programma di quest’anno non lasciava certo dubbi sul grado di perfezione cui perviene questo straordinario ensemble guidato dal direttore greco-russo, ma in più mostrava come la più elastica natura della musica mahleriana possa essere sottoposta a sollecitazioni discontinue senza che l’impianto formale dello stile classico ne abbia molto a risentire. C’è da chiedersi però che tipo di sollecitazioni sono state messe in atto dal direttore, in che modo queste sollecitazioni abbiano impressionato e commosso il pubblico fino alle lacrime e soprattutto quale sia il disegno finale che Currentzis ha in mente quando affronta questo tipo di repertorio che sarebbe limitativo definire come “tardoromantico”.
La Quarta sinfonia, più delle altre, ha delle caratteristiche di solarità, di cantabilità, di ritmo, di richiami timbrici (e, non ultimo, di durata) che la rendono uno dei lavori mahleriani sicuramente più comprensibili e amati dal grande pubblico. È per sua natura piena di situazioni in cui l’arte del cosiddetto rubato – una medicina che fa molto bene alla musica, ma che va somministrata nelle giuste dosi – gioca un grande ruolo nel gioco di tensioni e distensioni che qui si fa ricco di ammiccamenti, richiami folcloristici, anche di non troppo dissimulata ironia su certi luoghi comuni del romanticismo musicale. Con questi ingredienti Mahler illustra un racconto che può arrivare a momenti di commozione e di esaltazione straordinari: è soprattutto grazie alla attenzione massima di Currentzis rispetto a queste caratteristiche del melos mahleriano che l’esecuzione in teatro può davvero smuovere gli animi più refrattari. E così in effetti è stato, ivi compreso il lungo momento di silenzio che ha caratterizzato la frattura tra il termine della sinfonia e l’inizio degli applausi.
Pensiamo però che ancor più interessante sia stato il processo che Currentzis ha consciamente messo in atto nello sfatare il mito del Mahler “colossale” che tutto sommato è stato portato avanti per decenni fin dalle prime esecuzioni delle sinfonie vivente l’autore. Non si era mai chiaramente messo in discussione, in altre parole, che l’impianto dell’orchestra mahleriana potesse differire di molto da quello tipico della grande orchestra tardoromantica e delle sue appendici straussiane, e lo stesso autore aveva contribuito a sottolineare l’importanza, l’ineluttabilità dell’impiego di enormi complessi per cantare a gran voce i propri poemi musicali. Si dirà: questo è vero per quasi tutte le sinfonie tranne la quarta, che ha una dimensione più intima. Ma in ogni caso anche la Sinfonia in sol maggiore viene di solito affrontata con un organico robusto che va quasi automaticamente a determinare il peso, il valore delle singole componenti tematiche o di accompagnamento. Currentzis è invece partito da un presupposto diverso e probabilmente inedito, quello di affrontare la quarta come se si trattasse di una sinfonia scritta per un complesso cameristico molto allargato. L’esperimento, che deve davvero essere costato sangue e ore di prove, ha portato così a individuare una miriade di piccoli particolari che assumevano valenza tematica o contrappuntistica incrementando enormemente la tavolozza espressiva di questa famosa sinfonia. Questa dovizia di particolari, più che la marcata elasticità del fraseggio e il gioco tra estremi opposti di sonorità, ha probabilmente contribuito a sottolineare il fascino della interpretazione di Currentzis e a costituire diciamo così la parte inconscia del successo attribuito dal pubblico alla serata. Tant’è che sotto tono è apparso il pur pregevole contributo del soprano Jeanine de Bique, che avremmo voluto più udibile nei suoi momenti più impalpabili. La prima parte del programma era dedicata a un’ampia selezione del ciclo Des Knaben Wunderhorn, dove ampio ruolo hanno avuto ovviamente gli interventi del mezzosoprano Paula Murrihy e del baritono Florian Boesch, che non hanno peraltro fatto dimenticare tanti gloriosi esempi del passato più o meno recente. In questo contesto Currentzis non ha potuto giocare che in parte su un disegno a larga scala e la sua interpretazione si è collocata quasi sempre sui binari di una fulgida tradizione.
Un bis del serbo Marco Nikodijevic, eccellente per mostrare la tecnica dell’orchestra ma forse evitabile nel contesto della serata, ha chiuso la stessa con interminabili ovazioni.
Approvo in grandissima parte le sue valutazioni. Seguo Currentzis da un paio di anni e devo dire che sia in disco che dal vivo riesce a comunicare come pochi. Sicuramente va fuori dagli schemi tradizionali (ma alla fine cos’e’ la tradizione?) ma la cura maniacale per il dettaglio, i chiaroscuri (spesso piu’ scuri che chiari a dire il vero: si pensi all’incisione della Patetica di Ciaikowskij – esperienza di ascolto devastante) e la simbiosi con la sua orchestra risultano in esperienze teatrali – e’ vero, si ascolta e si guarda! – di sicuro fascino. Ho assistito al concerto beethoveniano del marzo scorso e qualche riserva ci poteva stare, al contrario un’Eroica a Ferrara del 2017 era stata un’esperienza sconvolgente (era la mia prima volta dal vivo, pero’). Qui con Mahler era tutto piu’ “semplice”. Ma emerge sempre quella volonta’ di esaltare le dinamiche e i contrasti, senza pero’ lasciare nulla al caso. Concordo con le voci solo parzialmente in linea con il resto dell’esecuzione, in particolare la de Bique, deboluccia e che ha dato la sensazione di dover essere guidata da Currentzis, che altrimenti si sarebbe persa… Non sono invece molto d’accordo sulla questione del bis concesso: e’ nel carattere provocatoriamente intelligente di Currentzis proporre una cosa del genere. Si torna sulla terra, fatta di droga e violenza, dopo aver intravisto la vita celestiale… Ho avuto l’impressione, maturata in realta’ solo diverse ore dopo il concerto, che questo bis sia stato inserito volutamente, con uno scopo, e non solo per dar saggio di bravura orchestrale. In ogni caso mi sento di affermare che Currentzis sta portando qualcosa di nuovo, attrae pubblico giovane (e ce n’e’ tanto bisogno!), e anche nel resto d’Europa i suoi concerti hanno successi analoghi a quello della scorsa sera (si veda la recente terza di Mahler, o l’anno scorso la nona di Bruckner a Stoccarda con la SWR); forse in Italia c’e’ un po’ troppa prevenzione nei suoi confronti. Credo non abbia alcun senso andare ai suoi concerti con in testa le interpretazioni che finora hanno fatto la storia, ma che si debba lasciarsi portare nel suo mondo. E’ questo che alla fine rende l’esperienza del concerto “unica”.