di Luca Chierici
I festeggiamenti per il quarantesimo anniversario dalla fondazione della Filarmonica della Scala non potevano avere esito migliore, anche senza il bisogno di movimentare la serata con la presenza di uno o più solisti di contorno.
La responsabilità dell’evento è dunque toccata a Riccardo Chailly, che già pochi giorni prima aveva affrontato un programma per nulla semplice con la stessa orchestra, stilizzando una prima sinfonia di Beethoven e ricordando quanto egli sia in sintonia perfetta con la prima sinfonia di Mahler (e non solo con quella) che ha più volte ripetuto nel corso della sua carriera, fin dai tempi dell’Orchestra Verdi e del Concertgebouw. Se la Filarmonica aveva già dato un’ottima prova in Mahler, lunedì ha dimostrato la sua versatilità in un programma variegato che si apriva con una commissione della stessa istituzione nei confronti di Giorgio Battistelli, autore soprattutto teatrale che qui disvelava un riuscito pastiche che aveva come riferimento la solennità dell’incipit dell’Orfeo di Monteverdi. Ma Battistelli, con questa Toccata, rendeva omaggio anche alla personalità di Chailly, quasi un ritratto del direttore multiforme che si interroga sui significati della musica e di tutte le sue potenzialità ma lo fa con un proprio senso dell’understatement che non è molto comune nel campo degli esecutori, direttori o solisti o cantanti che siano.
La serata proseguiva nel nome di Stravinskij, recuperando le due deliziose Suites per piccola orchestra che una volta si ascoltavano molto più spesso, essendo forse complici due compagini, quella dei Pomeriggi musicali e quella dell’Angelicum che in passato hanno avuto un ruolo non marginale per la diffusione della musica a Milano. È stata poi la volta della suite dall’Uccello di fuoco, già diretta da Chailly in passato e oggi ancora più convincente grazie a una concezione e a un gesto che ritiene, nella sua geometria, qualcosa che ricorda l’approccio “squadrato” di Pierre Boulez, ma che si arricchisce comunque di un contenuto di entusiasmo personale che anima molte scelte del nostro direttore. Il momento più emozionante si è infine materializzato con la proposta della quinta sinfonia di Čajkovskij, partitura famosissima ma anche spesso scambiata per una successione di melodie indovinate e di roboanti interventi orchestrali. Chailly ha dissezionato e ricomposto mirabilmente questo capolavoro di espressione e struggimento realizzando dettagli raramente ascoltati pure attraverso celebrate esecuzioni nostrane (non è un mistero il ricordare che la “quinta” è stata da sempre uno dei cavalli di battaglia di Muti). Ma le letture di Chailly sono sempre più il frutto di una ispirazione multiforme, che ci ha permesso, anche in questo caso, di apprezzare il risultato di una scienza indagatrice e allo stesso tempo di una sincera partecipazione personale ai grandi momenti del repertorio. Successo molto caloroso che fa ben sperare per un proseguimento ad alto livello di tutta la nuova Stagione.