di Cesare Galla
Mettere insieme in uno spettacolo operistico gli atti unici Il segreto di Susanna di Ermanno Wolf-Ferrari (1909) e Suor Angelica di Giacomo Puccini (1918) può apparire una giustapposizione “artificiale”, giocata sugli opposti e aliena da ogni tentativo di interazione.
Susanna e Angelica hanno infatti in comune la giovinezza, ma sorti molto diverse. Al confronto con la tragedia esistenziale nella quale vive Angelica, sepolta in un convento per sette lunghi anni e poi destinata al definitivo schianto, Susanna appare frivola oltre che innocente, detentrice com’è di un segreto ammiccante dentro al gioco degli equivoci cui si abbandona con il marito.
Ma a parte il fatto che le due partiture, entrambe ammirevoli pur negli stili assai diversi, sono a loro modo esemplari della complessità con cui in Italia la modernità in musica veniva elaborata e risolta nei due primi decenni del XX secolo, la scelta di questo singolare dittico per l’inaugurazione della stagione 2022 al Teatro Filarmonico di Verona proponeva un taglio molto attuale e molto interessante. La questione femminile adombrata nei due atti unici è stata infatti realizzata da una “squadra” quasi interamente femminile. Sul podio è salita Gianna Fratta, che nel panorama delle direttrici d’orchestra italiane è ormai da tempo protagonista di alto livello. E al femminile era anche la doppia regia dei due lavori: per Il segreto di Susanna la firma era di Federica Zagatti Wolf-Ferrari (discendente del compositore nato a Venezia da padre tedesco e madre veneziana), per Suor Angelica di Giorgia Guerra. Comuni ai due allestimenti l’autrice delle scene, Serena Rocco e quella dei costumi, Lorena Marin.
Il “comune denominatore” dei due atti unici è stato individuato nella sottolineatura dell’autonomia e della consapevolezza personale delle due protagoniste, fermo restando il fatto che da una parte il tutto si risolve nei toni della commedia sofisticata e ammiccante, dall’altro delinea una tragedia cupa e dalle conseguenze terribili, esacerbata in un Finale (la parte meno risolta dell’atto unico pucciniano) che sembra mescolare il Verismo e il Decadentismo. E a conti fatti, lo spettacolo ha funzionato perché la lettura d’insieme è risultata coerente con le caratteristiche drammaturgiche dei due lavori.
Il Segreto di Susanna è stato risolto con una leggerezza ironica che corrispondeva bene alla cifra brillante della partitura di Wolf-Ferrari, che agli albori del Neoclassicismo andava costruendo una sua personalissima cifra espressiva fatta di riferimenti “classici” e di scrittura spigliata, estroversa ma comunque personale. L’interno borghese disegnato da Serena Rocco, in elegante stile déco, è apparso funzionale alla lettura disincantata di una regia capace, peraltro, di giocare disinvoltamente con gli equivoci su cui si basa l’esile vicenda (il segreto di Susanna è la passione per le sigarette, detestate dal marito Gil, il quale – lungi dall’indovinare che cosa sta accadendo – attribuisce il persistente odore di fumo alla presenza di un uomo misterioso). Alla fine arriva il chiarimento ma la giovane sposa vince la partita, inducendo anche il consorte a fumare per garantire l’equilibrio e la felicità di coppia.
Quanto a Suor Angelica, per la quale la scenografia di Serena Rocco disegnava un chiostro di geometrica essenzialità, funzionale nella mobilità dei suoi elementi, la rilettura di Giorgia Guerra ha accentuato la “questione femminile” in maniera ben più radicale di quanto non avvenga nel Segreto. Per fare questo, cioè per attribuire alla protagonista tutte le scelte, la tremenda figura della Zia Principessa è finita per risultare parecchio attenuata nella sua durezza, mentre Angelica ha percorso il suo itinerario esistenziale in assoluta consapevolezza. E questo percorso – una volta appresa la tragica fine del figlioletto a causa della cui nascita era stata segregata in convento – è passato, nel sottofinale, attraverso la rinuncia alla veste come simbolo del rifiuto della “colpa”, prima della scelta di avvelenarsi con le erbe e i fiori dei quali Suor Angelica è espertissima.
Non c’è spazio, in questa lettura, per il miracolo con cui si chiude il libretto di Giovacchino Forzano, ossia la Vergine che accoglie Angelica in Paradiso riunendola al figlioletto. Anzi, la conclusione ha un segno iconoclasta, visto che la protagonista addirittura manda in frantumi la statua della Madonna. Ma paradossalmente, il turgore verista disegnato in questo punto da Puccini fa sì che il racconto per immagini non sia poi così “stonato” rispetto a quel che la musica delinea. Mentre lo svolgimento precedente, dalle scene “di gruppo” con le consorelle al confronto con la Zia, asseconda il percorso intimo della protagonista con nitida evidenza narrativa, fino alla disperazione di stampo quasi espressionista che a ben vedere costituisce il vero e più convincente finale dell’atto unico.
Con il suo gesto lucido e preciso, Gianna Fratta ha guidato l’orchestra areniana (portata a livello di platea, forse per le norme sanitarie) in una lettura ricca di sfumature e stilisticamente molto apprezzabile delle partiture di Wolf-Ferrari e Puccini: all’insegna della trasparenza e dell’ironia, per quanto riguarda il primo; con notevole introspezione psicologica rispetto al secondo, delineato con evidenza nella sua complessità armonica e strumentale grazie a un fraseggio efficacemente flessibile. E nonostante l’insolita collocazione della compagine strumentale, il rapporto con le voci in palcoscenico è sempre risultato equilibrato e incisivo.
Compagnie di canto ben assortite. In Wolf-Ferrari, brillanti ed eleganti nella linea di canto e nella verve attoriale sia Lavinia Bini che Vittorio Prato, Susanna e il Conte Gil, affiancati dall’attore Roberto Moro, efficacissimo nel delineare la parte muta del maggiordomo Sante. In Puccini, molto coinvolgente la debuttante Chiara Isotton, protagonista di una prova drammaticamente assai ben stagliata, con forte tensione espressiva e tenuta vocale impeccabile quasi sempre, tranne forse in qualche momento nella zona acuta della tessitura. La Zia Principessa ha avuto la voce ben timbrata e facile al grave del contralto Graziella DeBattista, mentre nei panni di suor Genoveffa si è disimpegnata molto positivamente Rosanna Lo Greco. Impeccabile l’apporto delle voci femminili del coro areniano, sia come insieme sia nelle parti solistiche ottimamente sostenute da Tiziana Realdini (la Badessa), Alessandra Andreetti (la suora zelatrice), Sonia Bianchetti (suor Osmina), Manuela Schenale, Grazia Montanari, Emanuela Simonetto e Mirca Molinari.