di Luca Chierici
Un semitono di differenza caratterizza l’impostazione armonica di due luoghi wagneriani tra i più famosi in assoluto, il Preludio all’atto primo di Lohengrin, in la maggiore, e quello di Parsifal, in la bemolle maggiore.
Luoghi che sono caratterizzati da una indicazione di tempo che non lascia dubbi: Langsam (Adagio, lento) e Sehr Langsam (molto lento). È musica celestiale, da ascoltare in silenzio assoluto e tendendo l’orecchio, se siamo presenti in sala, perché le dinamiche iniziali indicano rispettivamente “pianissimo” e “piano”. A memoria d’uomo è difficile, penso, trovare questi due esempi eseguiti in concerto uno in fila all’altro, perché la scelta richiede una forte concentrazione da parte del pubblico, un controllo del suono assoluto da parte dell’orchestra (e una consuetudine della stessa nei confronti del programma), una volontà da parte del direttore volta a velocizzare un poco i tempi per evitare di cadere in situazioni chiamiamole così di stallo.
Nessuna di queste ipotesi è stata rispettata in maniera integrale da Andris Nelsons, talentuoso quarantaquattrenne direttore lettone, al suo debutto con la Filarmonica (ma aveva già diretto alla Scala un concerto mahleriano con la Boston Symphony nel 2015) e già molto noto almeno da una decina d’anni sui palcoscenici che contano. Vuoi per un numero di prove inadeguato, vuoi per una scarsa consuetudine da parte dell’orchestra con i due brani in programma, cui si aggiungeva l’Incantesimo del Venerdì santo, non più eseguiti dal lontano 2013, vuoi soprattutto per l’abbinamento poco felice, il risultato è stato ben lontano dal riscuotere un vero e proprio successo.
Un pubblico piuttosto inerte ha riservato un applauso di cortesia che per fortuna, assieme a una isolata, sonora contestazione, si è tramutato in approvazione al termine di una Settima sinfonia di Beethoven che conteneva elementi apprezzabili soprattutto nell’evidenziazione di particolari orchestrali raramente ascoltati. Ma forse l’elemento più notevole della serata è stato l’applauso, o meglio il tradizionale e rombante calpestìo del pavimento, riservato a Nelsons dall’orchestra, che evidentemente ha molto gradito questa esperienza con il direttore. Che non ha certo un gesto “bello” e che spesso si appoggia con la mano sinistra alla balaustra anche per compensare l’equilibrio di un impianto fisico di una certa importanza, ma che quando vuole sa indirizzare agli strumentisti precisi avvertimenti che hanno comunque un effetto chiaramente percepibile e che hanno portato a una esecuzione beethoveniana che valeva l’intera serata. Come si usava dire in tempi oramai lontani: “da riascoltare”. E siamo sicuri che la Filarmonica esaudirà ben presto questa profezia.