di Luca Chierici
La Società dei Concerti di Milano ha presentato l’altra sera con giusto orgoglio un nuovo recital di Arcadi Volodos, grande pianista al quale si perdona (quasi) tutto, anche quel suo non rispettare il segno scritto, con raddoppi al basso e quant’altro in testi classici che meriterebbero più attenzione se paragonati ad altre scelte del proprio repertorio.
Non che Skrjabin o Rachmaninoff possano essere trattati alla stregua di musica di secondo piano, beninteso, né le numerose trascrizioni e arrangiamenti che Volodos ha sempre amato proporre al proprio pubblico al termine della serata. La proposta di Kinderszenen, dato anche il carattere semplice della scrittura schumanniana, non è stata inficiata da aspetti troppo personali, e si è risolta in un bel percorso narrativo di questo capolavoro che è tutto fuorché un omaggio all’infanzia. Piuttosto nella grande Fantasia op. 17 si sono ascoltate appunto diverse deviazioni dal testo scritto che avrebbero potuto essere evitate e che hanno un poco nuociuto all’integrità dell’esecuzione, peraltro bilanciata da una capacità notevole di illustrazione di un percorso assai complesso e immerso nei deliri amorosi che contraddistinguevano il rapporto tra Robert e Clara Wieck. Come se non bastasse, Volodos ha dominato da par suo i momenti più perigliosi di una scrittura audacissima, momenti che molto raramente si ascoltano con questo nitore.
Nella Sonata D 850 di Schubert, dedicata a un famoso virtuoso dell’epoca e in un certo senso opera di ancor più difficile definizione, Volodos ha imposto una lettura molto personale per ciò che riguarda la struttura degli accenti che caratterizza tutti e quattro i movimenti. Il pianista ha scelto questi accenti come linea programmatica per tutto l’andamento della sonata, anche se a volte il gioco risultava un poco ripetitivo. Si è trattato comunque di una lettura di altissimo livello che può essere messa parzialmente in crisi solamente da un’unica altra esecuzione che si è potuta ascoltare a Milano in un paio di occasioni nel recente passato, quando il protagonista al pianoforte si chiamava Radu Lupu.
Il già lungo programma è stato completato da una lunga serie di bis, e in questo frangente si può solamente rimproverare a Volodos il mancato annuncio degli stessi, perché nel suo caso si tratta quasi sempre di pagine poco o per nulla note al pubblico, a volte presentate in forma di trascrizioni da materiale scritto originalmente per altri insiemi (ad esempio una Melodia di Rachmaninoff per voce e pianoforte). Da Mompou, a Skriabin, a Liadov, Volodos ha intrapreso un percorso tutto suo, certamente affascinante, e di tutto questo materiale il pubblico ha forse individuato esclusivamente il notissimo Vogel als Prophet dalle schumanniane Waldszenen. Grande successo ma ancora troppo poco è il pubblico che lascia dietro di sé i timori pandemici. Speriamo tutti che si possa tornare presto, almeno per questi eventi eccezionali, ai “sold-out” di una volta.