di Luca Chierici
Tra gli allestimenti di successo degli ultimi dieci anni, quello del mozartiano Don Giovanni affidato alla regìa di Robert Carsen ha riscosso nuovamente una approvazione unanime anche al mutare delle condizioni al contorno – leggi direzione e compagnia di canto – che hanno per la terza volta caratterizzato le recite di un capolavoro teatrale amatissimo dal pubblico della Scala, l’altra sera ricco di presenze straniere.
Avevamo parlato di questo Mozart-Carsen a seguito della prima ripresa del 2017, che era seguita alla inaugurazione del 7 dicembre 2011. Da Barenboim si era passati allora al molto meno affascinante Paavo Järvi, sostituito oggi a propria volta dallo spagnolo Pablo Heras-Casado. Una direzione sciolta, essenziale, che ha impiegato il tempo dell’Ouverture per precisare meglio le scelte di tactus ma che poi si è assestata su un piano di correttezza rispettosa di una piuttosto recente tradizione, inaugurata forse da Daniel Harding, tendente a velocizzare i tempi.
Carsen, che si è presentato nuovamente a riscuotere gli applausi finali, ha avuto il non banale merito di meravigliare ancora il pubblico e di attirare l’attenzione anche su particolari secondari che confermavano i motivi principali del progetto, fondato sul protagonismo assoluto dell’eroe, sulla sostanziale compiacenza nei suoi confronti da parte delle tre presenze femminili coinvolte, sul capovolgimento della morale che peraltro è tutt’altro che chiara fin dai tempi delle prime rappresentazioni e, a monte, dall’idea partorita dal duo Da Ponte-Mozart.
Nuovo era il cast, e omogeneo anche per quel che riguarda la risposta da parte del pubblico. Christopher Maltmann è stato all’altezza del compito quasi quanto lo era stato Peter Mattei nel 2011, tratteggiando un protagonista più che credibile, perfettamente in linea con le richieste del regista e dotato di uno strumento vocale perfetto. Hanna-Elisabeth Müller era una Donn’Anna anch’essa stilisticamente magnifica e compresa nel suo ruolo che parte da un voluto travisamento della scena della seduzione. Volitiva come da manuale era la Donna Elvira di Emily D’Angelo, forse disturbata da una emissione poco omogenea e ricca di sforzati, peraltro in linea con il carattere spesso prorompente del personaggio. Leporello al di là di ogni possibile critica, Alex Esposito si esibiva in una perfetta immedesimazione scenica e vocale del ruolo. A lui sono forse stati tributati gli applausi più franchi da parte del pubblico. Bernard Richter, vuoi per scelta, vuoi per indole, mostrava quel poco di grigiore che è connaturale al personaggio di Don Ottavio. Zerlina brillante e saggia come da tradizione era Andrea Carroll, compagna affettuosa del bravo Masetto di Fabio Capitanucci. Günther Groissböck, anche dal palco centrale, esibiva magistralmente il peso del proprio ruolo, contando anche su una presenza fisica tutt’altro che trascurabile per un morto che ci parla dall’aldilà. Grande successo di pubblico per una serata che fa bene sperare per questa “uscita” dalle limitazioni pandemiche.