di Attilio Piovano
Era da molto che lo Stresa Festival non ospitava entro il proprio cartellone un concerto organistico (un tempo, invece, presenza pressoché costante, quasi ogni anno).
Per questa edizione 2022, la seconda affidata alla direzione artistica di Mario Brunello, ad esibirsi – la sera di martedì 30 agosto, presso la chiesa di Sant’Ambrogio sul lungo lago di Stresa, che ospita al suo interno un pregevole Tamburini a tre manuali dalla screziata tavolozza timbrica – è stato chiamato Olivier Latry: titolare alla consolle di Notre Dame, artista dallo sterminato palmarès e dalla ricca discografia, oggi uno dei massimi organisti viventi, memoria prodigiosa, superbo improvvisatore, tecnica solidissima, raffinata sensibilità e una vasta cultura non solo musicale. Per l’occasione, sapendo di poter contare su uno strumento di livello, Latry – per la gioia degli amanti della plurisecolare letteratura organistica – ha impaginato un programma davvero interessante, tutto ‘proteso’ sul repertorio francese, ma inaugurato bensì da una tripletta di succulenti hors d’oeuvres bachiani. E le emozioni non sono mancate sin dalla pagina d’apertura, l’austera Fantasia e Fuga BWV 537 dalla rigorosa tessitura polifonica. Conquistando fin dalle prime misure il folto pubblico, Latry ha ben evidenziato l’allure meditativa e solenne di tale Fantasia bipartita, dall’impianto imitativo prossimo a certe analoghe pagine di Pachelbel, per poi eseguire con impeccabile maestria ed efficacia l’estesa Fuga a quattro voci dall’incisivo soggetto e dai severi episodi: una vera lezione di stile. Per contro Latry ha impresso misurata brillantezza, come giusto, nella celeberrima e spigliata, ancorché forse apocrifa, Fantasia BWV 572 ponendola a reagire con l’altrettanto noto corale O Mensch, bewein’ dein’ Sünde Groß BWV 622 dal toccante e profondo pathos, restituito al meglio grazie alla lungimirante sobrietà della registrazione e all’ammirevole chiarezza dei fraseggi.
Poi ecco che Latry ci ha condotti per mano entro il lussureggiante jardin della letteratura per organo di area francese ottocentesca. Del sommo Vierne si sono ascoltate l’evocativa Légende e il leggiadro Scherzetto innervato di vivacità ritmica e preziosità armoniche, quasi danza di elfi: pagine estrapolate entrambe dalla seconda raccolta delle 24 Pièces en style libre delle quali l’organista parigino ha posto in luce l’elegante fragranza e il suggestivo colorismo già prossimo all’estetica impressionista.
Superba, infine, l’interpretazione del franckiano Terzo Corale (esplicito hommage all’autore delle Béatitudes nel 200° della nascita). L’artista ha sfoderato ancora una volta stupefacente saldezza nell’affrontare il complesso conio formale della pagina, un’aderenza scrupolosa al dettato testuale e nel contempo grande fantasia, timbrica e così pure nelle scelte dinamiche e di fraseggi. Alla vasta architettura del sublime Choral Latry aveva fatto precedere la deliziosa Pastorale op. 19 dalle agresti risonanze.
Il coronamento della serata con una policroma improvvisazione: prassi ultra secolare della quale Latry è oggi uno dei massimi ‘esperti’ mondiali. Curiosa la scelta del tema, e si trattava di Round Midnigth del ‘jazzista’ Thelonious Monk, trattato da Latry con una stupefacente souplesse e con padronanza assoluta, tema piegato alle più dissimili coniugazioni, entro una forma per così dire a doppio climax dinamico, ma con la chiusura in un’atmosfera onirica e notturna. Agli applausi copiosi Latry ha ancora risposto con due bis bachiani, il secondo era il notissimo e pimpante «Wachet auf» dai corali Schübler. Stupore e ammirazione nel constatare – grazie al grande schermo collocato dinanzi all’altare che ha permesso di seguire de visu in tempo reale l’intera serata (riprendendo la consolle in cantoria) – come nell’ultima strofa l’organista abbia per così dire ‘realizzato’ il basso con la mano sinistra, suonando le armonie delicatamente sul ‘recitativo’, segno di grande confidenza con la partitura e di innata musicalità, pur nel rispetto dell’originale, insomma con atteggiamento fantasioso e creativo lontano dal dogmatismo settario e pseudo filologico di non pochi barocchisti. Conversandone a fine concerto, Latry ci ha sorriso dicendoci: «Ma certo, è la cosa più ovvia del mondo, perché no». Un grandissimo interprete. Chapeau.
Lo Stresa Festival si era inaugurato la sera del 20 agosto al Palazzo dei Congressi dalla rinnovata acustica con una singolare e stimolante proposta della bachiana Passione secondo Matteo con l’evangelista interpretato dal danzatore-cantante napoletano Vincenzo Capezzuto, Ars Cantica Choir, Accademia dell’Annunciata e Riccardo Doni a governare il tutto con mano salda dalla tastiera del cembalo: serata che ha registrato notevole consenso di pubblico e significativa risonanza sui media. Di spicco – in cartellone – poi anche la rossiniana Petite Messe Solennelle proposta il 23 agosto con un sound ottocentesco grazie a due pianoforti Erard del 1838 e Pleyel del 1855 (con il Coro Ghislieri diretto da Giulio Prandi), un plurimo hommage alla poliedrica figura di Pasolini, nel 100°, distribuito entro varie ‘tappe’ del programma e così pure non poche proposte ‘trasversali’ dovute alla vulcanica direzione artistica di Brunello: al quale si deve anche l’idea di far realizzare una nuova camera acustica in legno, disegnata da Michele De Lucchi (ovvero il Palco acustico La Catapulta dalle suggestive linee) scrigno trasportabile di preziosi suoni impiegato in svariate location, tempo permettendo, a contatto con la natura.
E ancora, da segnalare l’apprezzata performance del Vision String Quartet all’Isola Bella, la presenza preziosa di Amandine Beyer cui spettava, entro la presente edizione, la consueta e tradizionale ‘integrale’ delle bachiane Sonate e Partite per violino solo, le affascinanti melodie di musiche da film con il violoncello di Mario Brunello, la fisarmonica di Ivano Battiston, il clarinetto di Giacomo Arfacchia e l’arpa di Isabella Cambini, l’atteso recital del pianista Andrea Lucchesini (3 settembre) per un omaggio ad Arthur Rubinstein (musiche di Franck e Chopin) e l’appuntamento nel capannone industriale di Logistica Herno: dove tra linee robotizzate e montagne di scatoloni si esibisce il violoncellista Stephan Braun. Gran finale la sera del 9 settembre con la Sinfonieorchester Basel diretta da Ivor Bolton, ancora al Pala Congressi, nel segno di Beethoven (Sinfonia n. 7) e Mozart (Concerto per violino e orchestra K 219, solista Akiko Suwanai).