di Luca Chierici
La star della serata era lui, il trentunenne violoncellista spagnolo che ha al proprio attivo la partecipazione, se non la vittoria assoluta, a numerosi concorsi internazionali e soprattutto una carriera di spicco a fianco di grandi direttori e pianisti.
Lo avevamo ascoltato con interesse già alcuni anni fa quando aveva partecipato ai festival organizzati da Beatrice Rana nel basso Salento e a Lecce e oggi Ferrández si conferma come un musicista che ha talento da vendere e un suono molto interessante (in parte dovuto anche a un magnifico Stradivari concessogli in comodato d’uso). Sopra tutto è di quegli interpreti che si immergono totalmente nel repertorio scelto e comunicano questa loro partecipazione attraverso una gestualità fuori dal comune. La sua lettura del Concerto di Schumann è stata condotta forse in maniera un poco frammentaria scegliendo una via scomoda, ossia la puntualizzazione di un’architettura involuta che fa di questo Concerto quasi un unicum e ne sottolinea il carattere per nulla precursore di quelli che sarebbero stati gli sviluppi del genere, più rivolti a un melodiare scoperto. Addirittura si ascoltavano di tanto in tanto attraverso l’esecuzione di Ferrández certi dettagli che rendevano scoperte inedite anticipazioni del “doppio” Concerto per violino e violoncello di Brahms, scritto molti anni più tardi e anch’esso immerso in un labirinto di contenuti non sempre facili da interpretare. Il violoncellista ha potuto contare sulla complicità affettuosa di Chailly, che è capace, tra le altre cose, di porsi in sintonia con giovani solisti diversissimi tra loro aiutandoli paternamente nello svolgimento dei loro compiti.
La serata era stata aperta da una nuova composizione di Ivan Fedele, musicista di casa alla Scala perché autore di lavori diretti in passato da artisti del peso di un Riccardo Muti o, in altre sedi, da interpreti oramai storici come Pierre Boulez. Due letture del tempo, commissionato dalla Filarmonica per il suo quarantesimo anniversario, è diviso in due sezioni (Periodicità e Pulsazione) che partono da una considerazione fondamentale del tempo come “dimensione senza la quale non si può usufruire della musica”. Una scelta un poco in contraddizione rispetto alle più recenti considerazioni fisiche del tempo, che sembra non avere più un verso unico come ci insegnano le teorie newtoniane o addirittura non sembra essere nemmeno più considerato come variabile da tenere in conto nella descrizione dei fenomeni a livello particellare. Fedele utilizza la grande orchestra per un incipit d’effetto che porta allo sviluppo di quello che può essere visto come un “tema con variazioni” mentre nella seconda parte si ha la descrizione di una figura ritmica vista attraverso diverse prospettive. Sempre più, in molti lavori contemporanei, si nota lo sfruttamento un poco compiaciuto delle risorse della grande orchestra, forse a discapito di un’analisi più dedicata alle strutture architettoniche della composizione. Grande virtuosismo ritmico e strumentale, dunque, alla base di questa nuova composizione di Fedele, quasi a voler sfruttare al meglio le potenzialità di una compagine come quella dei Filarmonici, che in questa commissione a Fedele festeggiavano il loro quarantesimo anniversario.
Né si è avuta l’impressione che Chailly abbia giocato, per ciò che riguarda la Sinfonia in re minore di Franck che chiudeva il programma, su un più facile disvelamento dei caratteri tematici più noti della sinfonia stessa, come se si volesse in un certo modo proseguire certa frammentarietà di visione che aveva accompagnato in precedenza lo Schumann. Franck punta in quasi tutte le sue composizioni più importanti a una forse eccessiva costruzione formale che tende a frantumare una certa continuità di eloquio. E ci vuole dunque coraggio a svelare chiaramente questo approccio strutturale e armonico senza – ancora una volta – puntare sul solo materiale melodico. Chailly, letteralmente rapito fin da giovane dal capolavoro franckiano, ne ha studiato i dettagli più intimi anche in relazione ai legami che certe idee hanno avuto con dei precedenti illustri (Beethoven, Liszt) ed è riuscito a fare percepire tutto un mondo di richiami che l’orecchio attento può cogliere in questa partitura. Una serata senza dubbio di successo che ha però richiesto a un pubblico piuttosto tradizionale un impegno non da poco nella concentrazione d’ascolto.