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Aida con la regìa di William Friedkin al Regio di Torino

di Attilio Piovano
8 Marzo 2023
in OPERA
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Home OPERA
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di Attilio Piovano

Valida la scelta, da parte del Teatro Regio di Torino, di riprendere entro la presente stagione 2023, la fastosa Aida che aveva ‘inaugurato’ nell’ottobre del 2015: allestimento di gran classe ideato peraltro una decina d’anni innanzi dall’acclamato regista cinematografico William Friedkin (‘firma’ dell’indimenticabile Esorcista e premio Leone d’oro alla carriera 2013).

Dieci le recite succedutesi ora, con doppio cast sino all’8 marzo per la direzione musicale di Michele Gamba. Allestimento che – ripreso da Riccardo Fracchia quanto a regìa, e pazienza per una certa stereotipia ad esempio nel muovere le masse per la celebre e famigerata «Marcia»  – ancora una volta, nonostante il tempo trascorso, mantiene la sua validità, la sua vis e la sua efficacia dammaturgica. Sicché, la sera dello scorso 25 febbraio 2023, si sono riviste con piacere le scene di Carlo Diappi appaiate a suoi stessi costumi di buona resa, comme il faut per un’opera kolossal qual è Aida. Scene pienamente secondo la tradizione, dunque monumentali e icastiche, con grandi statue e giganteschi blocchi marmorei (verrebbe da dire di faraonica bellezza) il tutto realizzato con grande stile, e non è  cosa da poco in un’opera dove è sempre facile debordare nel kitsch e negli effettacci della carta pesta (unica lieve caduta di gusto, forse, già lo si rilevava in passato, il trascorrere in scena di una barca con le allusive figure ‘egizie’, insomma le sovra dimensionate sagome dovute a Michel Curry, animate a vista).

Buoni e di grande impatto i movimenti di massa ad effetto, già nel primo atto in cui Radamès viene indicato dalla dea Iside quale supremo condottiero contro gli etiopi e riceve l’investitura dal re, e poi l’apoteosi con la celebre scena corale (in tutti i sensi della parola) del second’atto (“Uno degli ingressi della città di Tebe”) con irrompere di soldati con alabarde e gonfaloni, sfilata di truppe ordinate e simmetriche; e la celeberrima «Marcia trionfale» con le trombe in palcoscenico (che Gamba dal podio ha reso solenne, ma senza eccessiva enfasi, come giusto, potendo contare sull’Orchestra del Regio in ottima forma).

Tra i momenti scenici di maggior efficacia di certo il finale scena prima del quarto atto, allorquando i sacerdoti escono dalla sala del giudizio e Amneris lancia la sua invettiva. Bene le scelte cromatiche che le ottime luci di Andrea Anfossi esaltano: e allora sfolgorio e scene luminose per i momenti ‘trionfanti’, ma anche iridescenti blu cobalto per il ‘notturno’ sulle rive del Nilo, per contro il rosso per l’altare del dio Vulcano, luci tenui invece per i momenti più intimistici e  dunque l’inizio del secondo atto (scena prima), poi terzo e quarto atto, vale a dire quelli del dramma umano di Aida, Radamès e Amneris con lo sfruttamento abile dei ponti mobili per rendere il senso della cupa tomba sotterranea a rinchiudere tragicamente Aida e Radamès e Amneris sovrastante. Ripresa altresì la vasca centrale con effetti di luce riflessa che pare una citazione del Bagno turco di Domenico Morelli in versione egizia. Apprezzate, come già nelle precedenti edizioni, le gradevoli – e pur prevedibili – coreografie ‘in stile’ dovute ad Anna Maria Bruzzese. Si sa che Aida ebbe origine da una circostanza celebrativa, e dunque trova piena giustificazione l’inserzione di svariate danze che Verdi concepì con inflessioni di sapore vagamente orientale. Sicché per conseguenza, le appropriate coreografie giocano il loro ruolo adeguato.

Buona la direzione di Gamba, ancorché in qualche caso coprisse un poco le voci (quanto meno la sera della prima) ponendo in luce dettagli timbrici e dinamici non sempre del tutto coerenti; una direzione peraltro attenta a far comprendere come Aida non sia solennemente un’opera di masse e momenti sontuosi, bensì (se non principalmente) un’opera fondata sul collidere di conflitti personali, un’opera di scavo psicologico. E lo si è compreso sin dalle note iniziali, e in momenti volti ad evidenziare l’interiorità dei personaggi, anche se specie nel terzo e quarto atto qualcosa sembrava essere venuto meno.

Apprezzata la cura nell’affrontare le succitate danze che talora eccedono quanto a sgargianti cromie e ritmi troppo squadrati. Bene la duttilità con cui Gamba ha affrontato i molti recitativi orchestrali, ben assecondato dall’orchestra del Regio, lo si diceva, in ottima forma in tutte le sue sezioni. Qualche ristagno qua e là, e forse qualche clangore di troppo,  dove  occorrerebbe puntare su intimismo e delicatezza, ma anche finezze apprezzabili, a partire dall’esordio, il Preludio cesellato con grazia.

Ed ora le voci: bene, ma non benissimo, il mezzosoprano Silvia Beltrami nel ruolo di Amneris, rivale in amore della protagonista, figlia del re magnanimo che concederà la grazia ad Aida stessa e al padre, applaudita a fine serata, ma con qualche ragionevole riserva. Bene invece Erika Grimaldi nel ruolo impervio della protagonista Aida. Suoni filati e pianissimi al limite dell’udibile, ma anche potenza sonora; eleganza e raffinatezza nell’emissione vocale, bei fraseggi, nei vari momenti topici che le competono, sia nei passi solistici sia nei duetti con Radamès. Un Radamès, il tenore Gaston Rivero, che è piaciuto molto, strappando convinti applausi in «Celeste Aida». Ha voce che corre e notevole potenza sonora, sfodera stentorei acuti e cattura l’attenzione. Ha rivelato poi buona humanitas: commovente la scena del commiato finale con la tomba che si richiude sul suo immortale amore per la schiava etiope Aida e Amneris pentita che invoca gli dei sopra la pietra tombale.

È parso convincente Gevorg Hakobyan  nei panni di Amonasro re d’Etiopia e padre di Aida per la ieratica presenza e la ‘virilità’ vocale che ha saputo conferire alla sua parte; laddove Evgeny Stavinsky (Ramfis) ha convinto solo in parte, pur avendo disimpegnato con correttezza  il suo ruolo. Tutti allineati su un buon standard i restanti cantanti.

Davvero ottimo il coro, istruito da Andrea Secchi (assai ammirato il «Gloria all’Egitto» per possanza sonora, ma indimenticabili altresì certe sillabazioni delicate e rarefatte). Da ultimo un dettaglio sul versante delle luci (che si fanno livide dove occorre) e si tratta di uno spot che segue i protagonisti nel  toccante e tragico epilogo rendendolo ancora più raccapricciante. Spettacolo fatto oggetto di protratti applausi da parte di un pubblico foltissimo, e fa piacere rilevarlo (più ancora merita segnalare il sold out per l’anteprima giovani, un bel segnale).

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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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