di Luca Chierici
Il concerto della Filarmonica della Scala che ha avuto luogo mercoledì 11 ottobre scorso era attraente soprattutto per la presenza di una delle partiture più emblematiche del Novecento, quella Turangalîla-Symphonie di Olivier Messiaen scritta tra il 1946 e il 1948 che si pone come esempio di lavoro non rispondente alle correnti più estreme del linguaggio novecentesco e allo stesso tempo come costruzione complessa dal punto di vista dell’enorme organico richiesto e del trattamento del materiale melodico e ritmico.
La Sinfonia non veniva eseguita per la prima volta nel novero dei concerti scaligeri (nell’82 l’aveva diretta Soudant e nel ’93 Chailly) ma in un certo senso si proponeva come novità visto il tempo che era trascorso dall’ultimo appuntamento e visto il battage pubblicitario che ne aveva preannunciata la programmazione. A rendere ancora più appetibile la serata era la presenza della pianista Yuja Wang, impegnata nella sua massacrante parte e quella della solista alle Onde Martenot, Cécile Lartigau. La Wang è una delle poche soliste che si è impegnata già da diversi anni nella parte, e con lei si è ascoltato in passato un altro campione in tal senso che è Jean-Yves Thibaudet. Anche in questa occasione la pianista cinese-americana ha dato fondo a tutte le sue incredibili risorse psico-fisiche immergendosi integralmente in un compito che dicevamo di difficoltà immane. Così come la Filarmonica ha dato il meglio di sé durante il lungo cammino (un’ora e venticinque minuti) richiesto dall’autore. La direzione dell’insieme era stata dapprima affidata a Zubin Mehta, che ha dovuto rinunciare al compito per motivi di salute – e sarebbe stato davvero curioso assistere allo spettacolo di un direttore quasi novantenne impegnato in un simile cimento. Si è invece assistito al professionale impegno di Simone Young, anch’essa non nuova nella conduzione del capolavoro di Messiaen, che ha saputo egregiamente mantenere le fila della gigantesca partitura con evidente risposta da parte dei solisti e dell’orchestra tutta. Meno convincente è stata la Young nella Sinfonia K. 504 di Mozart che apriva la già lunga serata, più che altro per l’analisi del gesto che non è apparso né “bello” né efficace per sottolineare le mille raffinatezze armoniche della partitura, oltretutto affidata a un’orchestra fin troppo numerosa per un compito del genere. La serata ha riscosso un successo notevolissimo nonostante il costante abbandono della sala di parte del pubblico, evidentemente non preparato all’ascolto della partitura di Messiaen che, diciamolo pure, si abbandona spesso a formule piuttosto ripetitive.