di Gianluigi Mattietti
Una delle rassegne più importanti di musica contemporanea in Austria è il Festival Klanspuren, che si tiene in Tirolo, tra Schwaz e Innsbruck, e che quest’anno ha festeggiato il suo trentesimo compleanno. Fin dalla sua fondazione, l’idea è stata quella di creare un luogo non solo di concerti, ma anche di formazione, con un’Accademia ad hoc e un “Composers Lab”, che quest’anno ha offerto ai giovani compositori la possibilità di confrontarsi con maestri come Chaya Czernowin e Klaus Lang, e con l’ottimo Schallfeld Ensemble, come ensemble in residenza.
Di grande seduzione il concerto dedicato a Lang, nel raccolto presbiterio della Hofkirche di Innsbruck, impaginato intrecciando pezzi del compositore austriaco con canoni, mottetti e chansons di Heinrich Isaac, Guillaume Dufay, Paul Hofhaimer, Pieter Maessins, Ludwig Senfl. Il ciclo Cantica Christinae, iniziato da Lang nel 2020, si compone di pagine polifoniche che riprendono l’antica scienza contrappuntistica, con procedimenti isoritmici, complessi giochi di imitazioni, canoni mensurali, e con una notazione “all’antica”, fatta solo di altezze e di valori, senza altre indicazioni, compresa la destinazione strumentale: «come i compositori del XV e XVI secolo, vedo la struttura artistica come un recipiente solidamente costruito che contiene le complesse e sconfinate bellezze del suono: è una musica che cerca di creare un vasto spazio senza tempo, un suono luminoso insieme ricco e semplice, traboccante e limitato». Uno sguardo al passato “preraffaellita” si coglie anche nel titolo, riferito alle poesie rigorose, stringate e sensuali di Christina Rossetti (1830-1894) sorella del pittore Dante Gabriele, di cui fu musa e modella. Dalla poetessa inglese viene anche il nome dell’ensemble, i Rossetti Players, che hanno eseguito tre pezzi di questo ciclo, con la voce del soprano Elina Viluma-Helling, e con diverse combinazioni di strumenti: violino, viola d’amore, flauto, organo e claviciterio (un clavicembalo con la cordiera disposta in verticale), questi ultimi due suonati dallo stesso compositore. Erano pezzi scarni, a tratti anche spigolosi, intrecci di linee pure, modali, che si dipanavano su ipnotiche armonie dell’organo rinascimentale (Ebert-Orgel) della Hofkirche, sfruttando molto bene il colore particolarissimo dei suoi registri e la sua accordatura mesotonica. Ne risultavano rapinosi orditi polifonici, privi di impennate drammatiche ma mai statici, con dissonanze cariche di espressione e con sottili ambiguità timbriche: incantava la dimensione siderale, magica di My heart is singing like a bird, con una linea vocale estatica, avvolta dal prezioso arpeggiare della viola d’amore; la compostezza arcaica di A summer wish, che si dispiegava come un cantus firmus su lunghi accordi tenuti dell’organo, per poi intrecciarsi con la linea del violino; il candore mistico di A life’s parallels, eseguito in prima assoluta, punteggiato dai delicati accordi ribattuti dell’organo, con una coda che ne faceva risuonare le canne più gravi. A questi pezzi, che si alternavano in maniera molto naturale con le polifonie rinascimentali, sembravano quasi riverberarle, si aggiungeva Klirrende fahnen per violino e organo – il titolo è tratto dall’ultimo verso della poesia di Friedrich Hölderlin Hälfte des Lebens (Metà della vita) – dove Lang sovrapponeva un’incessante figurazione dell’organo, come uno strano brulichio, scintillante e pieno di riverberi, con spogli, prolungati bicordi, suonati dalla violinista Barbara Konrad, che si aggirava lentamente tra il pubblico, quasi come uno sciamano capace di modificare con quei suoni la prospettiva armonica dell’insieme
Chaya Czernowin è stata invece protagonista di un concerto dello Schallfeld Ensemble, diretto da Pierre-André Valade, che ha eseguito un suo recente lavoro per sei strumenti amplificati, Fast Darkness III: Moonwords, terza parte di un ampio ciclo strumentale. Una musica imprevedibile, fluttuante, che alternava sfocature ritmiche e tonali con improvvise esplosioni, rumori pulsanti e legnosi, squarci graffianti, sorde turbolenze, come ruggiti, e suoni acutissimi, come sibili angelici. Un contegno musicale opposto aveva il nuovo pezzo di Timothy McCormack, yours in the process of being absorbed, per baritono (Tyler Bouque) e sei strumenti, concepito come un ciclo di canzoni in miniatura, incorniciate da un preludio e da diversi interludi solistici: tutto si muoveva in una dimensione di estrema rarefazione, tra nuvole di suono che lasciavano alla fine solo una turbolenza nel grave, e il canto afono del baritono, che alternava fischi e rantoli, come se stesse russando. Molto più interessanti gli altri due lavori eseguiti nel concerto, pure in prima assoluta, di Hannes Kerschbaumer e di Anna Korsun. Nel pezzo del compositore austriaco, Umfaltet, per voce e ensemble, il testo, tratto da Henri Michaux, non era musicato in senso lineare, ma smontato in parole o singole sillabe, che venivano poi ricomposte, anche al contrario («La mia fascinazione quasi ossessiva per la musica suonata al contrario si manifesta nei crescendo esponenziali, o gesti che sono l’opposto delle cadenze, proiettati verso un campo aperto, verso qualcosa di ancora sconosciuto»). La parte vocale, che si muoveva per linee frammentarie, usando anche due piccoli megafoni che ne modificavano il timbro (bravissima il mezzosoprano lettone Helena Sorokina), si amalgamava in maniera sempre imprevedibile con le trame strumentali, che sfruttavano un ricco inventario di percussioni e di tecniche esecutive (suoni grattati, effetti molto rumoristici, gli archi suonati anche con delle palline di polistirolo tra le corde, ecc.), creando una materia sonora che sembrava talvolta scivolare lentamente, altrove procedere per sventagliate, su percorsi spiraliformi. Insomma, un lavoro musicalmente superlativo, originale e carico di energia, vivo e trascinante. Altrettanto riuscito era almyros ílios, il nuovo pezzo della compositrice ucraina, ispirato a due città che si trovano sulle sponde opposte del mare Egeo (Almyros, nel sud-est della Tessaglia, e l’antica Troia, cioè Ilios), al dialetto eolico che vi si parlava, alle suggestive associazioni fonetiche legate al significato della parola eolico («creato dall’azione del vento»), all’antica scala eolia. Partendo da cellule minime, anche un singolo suono, si formavano campi sonori più densi, microtonali, con stratificazioni temporali sfalsate, catene di impulsi di altezze diverse, lente fasce armoniche piene di riverberi cromatici, flussi sonori che parevano soffiati, dolci e tremanti, o agitati da raffiche improvvise, momenti intonati dagli strumentisti a bocca chiusa come delicati suoni eolici.