Musica e Biologia • Cosa succede se associamo dei suoni alla sequenza del DNA? L’esperimento di Brent Hugh ha dimostrato che la nostra mappa biologica suona come una polifonia. E anche un altro dato singolare
di Rosario Vigliotti
[IL] genoma umano è stato decodificato per la prima volta il 22 giugno 2000 dal Genome Bioinformatics Group della University of California Santa Cruz. Il Progetto Genoma Umano (HGP, acronimo di Human Genome Project) aveva avuto inizio nel 1990 con l’obiettivo di comprendere la funzione dei geni (unità ereditarie fondamentali d’ogni organismo vivente) del genere umano, di determinare la sequenza delle coppie di basi azotate che formano il DNA e di identificare e mappare i geni del nostro genoma. Si è scoperto così che noi esseri umani abbiamo circa 24.000 geni, più o meno lo stesso numero di quelli dei topi, il doppio di quelli di alcune specie di vermi. Ma lo studio del genoma può rivelarsi fondamentale per comprendere le cause di alcune malattie, oltre che migliorare la comprensione di come ci siamo evoluti dopo esserci separati dai Primati due milioni e mezzo d’anni fa.
L’anno dopo contattai Brent Hugh, il musicista statunitense che per primo aveva trascritto in musica la mappa del genoma umano. In quella che appariva come una sorta di “conversazione” fra alcuni geni e cromosomi aveva combinato, con un software scritto per l’occasione, diverse melodie utilizzando un music sequencer per assegnare uno strumento ad ognuna. Semplificando, le melodie del genoma generate dalle sequenze genetiche erano state tradotte in sequenze melodiche una volta stabiliti la posizione di ognuna nella composizione, lo strumento (il timbro), il volume, la dinamica e il tempo. Le sequenze originali del genoma consistono di differenti combinazioni delle lettere A, T, C e G (indicanti rispettivamente i nucleotidi Adenina, Timina, la Citosina e la Guanina). Le molecole del DNA sono difatti costituite da lunghe strisce di questi quattro nucleotidi. Tralasciando altri dettagli tecnici, basta dire che Hugh divise i codoni di quattro lettere in gruppi di due: le prime due determinavano il tono, le altre la lunghezza del suono. Essendo quattro i simboli (ATCG), tono e lunghezze di suono erano determinati da due simboli accoppiati, dai quali si ottenevano 16 possibili toni e 16 relative durate. Grazie al suo software, il musicista statunitense convertì le sequenze del genoma in codoni di lunghezza 2+2, traducendo ogni singolo codone in 16 toni e 16 lunghezze di suono. Come Hugh mi scrisse, trovare la chiave per decodificare la musica del genoma non era stato facile. In molte occasioni si era sentito perso, ma durante una delle tante notti trascorse a trovare la chiave di lettura era caduto in uno stato di quasi-trance e, per un istante, brevissimo, si era realmente sentito in comunicazione con la vita stessa. In quel momento aveva trovato la soluzione del suo enigma musicale.
La musica del genoma ci spiega che in termini biologici siamo musicalmente definibili come melodia a più voci. Il Progetto Genoma Umano ha però anche sentenziato come non ci sia spazio per gli inventori d’App su tablet, iPhone e Smartphone: chi voglia scriversi da solo la musica unica e originale che ritiene d’avere dentro per poter ascoltarsi o per condividerla su Facebook, chi − nell’attesa di nuove albe − voglia riscrivere inni nazionali utilizzando il genoma di famigerati padri della patria, deve sapere che il Progetto Genoma Umano ha dimostrato che tutte le etnie umane risultano uguali al 99,99%, e che quindi le differenze che stupidamente molti si ostinano a definire razziali sono, dal punto di vista genetico, insignificanti.
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