La formazione russa non convince a Torino. In programma tutto Čajkovskij: Patetica e Concerto per violino, solista l’israeliano Itamar Zorman


di Attilio Piovano


LA NOVOSIBIRSK PHILHARMONIC ORCHESTRA è un formazione di ragguardevoli dimensioni e innegabili potenzialità. A Torino, salvo errori, non la si era mai sentita. È giunta nell’ambito del cartellone di MiTo per un doppio appuntamento, al Lingotto, le sere di mercoledì 9 e giovedì 10 settembre 2015. Tutto sul côté di Čajkovskij il programma delle seconda serata sul quale merita soffermarsi con maggior ampiezza dacché verosimilmente l’autore russo sembra essere più nelle corde dei filarmonici siberiani, piuttosto che il Beethoven della sera innanzi.

Una Patetica invero – ciò nonostante – un po’ sopra le righe quella proposta dal direttore lituano Gintaras Rinkevicius dal gesto talora affettato, non sempre efficace, spesso un po’ fine a se stesso e soprattutto senza una immediata ricaduta sul tessuto orchestrale. Più ancora, un direttore con la tendenza congenita a mantenere l’orchestra sempre sulle dinamiche dal mezzoforte in su. E allora, se il primo tempo soffriva di qualche iniziale pesantezza, è poi però andato decollando, specie nella contrastata sezione dello sviluppo, sia pur con svariati eccessi fonici. Nell’Allegro con grazia avremmo voluto un poco più di charme; molte le ineleganze dei legni, soprattutto, che potrebbero venire emendate, con innegabile vantaggio, anche un po’ più di souplesse non guasterebbe a questo movimento che si sa è (quasi) tutto fatto di soave leggerezza. L’aitante Scherzo ha visto protagoniste fanfare di ottoni che talora parevano scariche di mitraglia, talaltra avanzavano con la forza di un carro armato. Ed è un vero peccato, perché partire già quasi forte vuol dire vanificare l’effetto dell’enorme crescendo che si richiede a tale pagina (in ogni caso, anche in presenza di certe sguaiate sortite degli ottoni, fa sempre il suo effetto sul pubblico, che in genere ahinoi apprezza i fortissimi più delle sfumature). Anche nel celeberrimo e toccante Finale il tema sentimentale avrebbe potuto giovarsi di maggiori cure. Mancava, poi il senso della tragedia e del pathos nell’ultima, ferale sezione. Archi non sempre impeccabili e talora dal suono aspro.

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Parecchie asprezze timbriche anche da parte del violinista a israeliano Itamar Zorman che che in apertura del Concerto op. 35 (ancora di Čajkovskij) pareva teso; e allora alcune défaillances di intonazione sono emerse. Ha tecnica ed è molto agguerrito, non sempre cristallino e talora eccessivamente esuberante: la cadenza l’ha però affrontata con innegabile bravura. Non sempre e non tutto in asse con l’orchestra, ma la faccenda è imputabile al direttore lituano. Zorman ha pur tuttavia colto al meglio il carattere desolato e malinconico dell’Andante impregnato di umori squisitamente russi, regalando emozioni. Trascinante il Finale, con qualche eccesso e ben due bis, una struggente melodia ebraica che, assai protratta e dilatata, finiva col venir meno quanto a tensione emotiva, e un movimento dalla bachiana Sonata n. 3 in do maggiore BWV 1005 affrontato con nitida pulizia e bei fraseggi (ancorché lontano da una visione filologica).

Dopo la Patetica i Filarmonici hanno a loro volta offerto un bis (lo stesso della sera precedente, e forse si poteva anche pensar ad altro, visto che il pubblico di fatto è il medesimo) e si trattava della bellissima Farandole da L’Arlesienne di Bizet (Suite n. 2), un pezzo che richiede un gioco calibratissimo di crescendo, partendo da un impercettibile pianissimo per poi sfolgorare nelle ultime misure (come faceva l’indimenticabile Maazel). Rinkevicius al contrario pigia sull’acceleratore fin da subito, per far colpo sul pubblico, vanificando il tutto. Perplessità la sera innanzi soprattutto con la beethoveniana Quinta, dalle eccessive (quasi inaccettabili) esagerazioni foniche e alcune eccentricità, andata meglio l’Eroica, specie la sublime Marcia funebre. Oltre alla Farandole anche un Piazzola fuori programma (quasi irriconoscibile, in una versione orchestrale tutta percussioni dinoccolate e sound americaneggiante).

Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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