Con l’Orchestra Filarmonica di Torino la direttrice e la pianista (che non convince molto in questo concerto) si esibiscono al festival MiTo
di Attilio Piovano foto © Mattia Boero
Un programma quasi per intero coerente quello ‘pensato’ da Silvia Massarelli, sul podio dell’Orchestra Filarmonica di Torino la sera di venerdì 18 settembre 2015 per MiTo, a Torino in Conservatorio. Un programma mozartiano che affiancava il Concerto per pianoforte e orchestra K 466, in assoluto assieme al K 491 in do minore, il più pre-romantico dei concerti pianistici del salisburghese (non a caso l’unico che il giovane Beethoven affrontò in pubblico e per il quale scrisse anche un paio di cadenze) alla Sinfonia in sol minore K 550 imbevuta anch’essa di umori Sturm und Drang.
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Alla tastiera sedeva Anna Kravtchenko, pianista ipersensibile, tecnica solida e tocco per lo più elegante, capace di interpretazioni mai banali, anche quando le si condivide solo in parte. E allora il ‘suo’ K 466: volto ad evidenziare il tono prossimo al Don Giovanni, e in questo la pianista è parsa decisamente in linea con l’imprint della Massarelli che, gesto scattante e discreta cura dei dettagli, aveva attaccato il Concerto con il giusto fuoco e l’incisiva allure delle sincopi iniziali.
Impeccabile il primo tempo della Kravtchenko anche se avremmo voluto più pathos, più gioco di luci ed ombre. Curiosa, invece, e francamente ardua da condividere, l’ambientazione della sublime Romanza, affrontata troppo veloce; così facendo perde tutto il suo fascino di sguardo retrospettivo a un passato irrimediabilmente perduto, un Paradise Lost, per dirla con Milton, mentre a quella velocità e con quei fraseggi – risultando snaturata – finisce per assumere toni rococò quasi grotteschi. Un’occasione perduta, in buona sostanza, e di fatto sgualcita la grazia soave del pezzo che, pur coi dovuti distinguo, condivide l’analoga stimmung del movimento lento del K 467. Peccato davvero.
Neanche il tempo di riflettere o respirare ed ecco che la Kravtchenko ha affrontato con una carica energetica incredibile il Rondò finale, a tratti, e a onor del vero, perfino con furia eccessiva, finendo per trascurare un poco il bel tema cantabile che presto s’avanza. Cadenza utilizzata: verosimilmente quella di Beethoven, mentre per il primo tempo non ci è parsa tale. Orchestra corretta, ma un po’ spaesata e un bis della solista imbevuto di melanconia tutta russa.
Nella K 550 (che sta al K 466 e al Don Giovanni come la Jupiter sta al K 467 ed alle Nozze di Figaro) la Massarelli ha convito specie nei due ultimi movimenti: lo squadrato Menuetto, affrontato con ‘virile’ determinatezza (ci si passi il puerile gioco di parole, trattandosi di un direttore donna) e così pure ha saputo imprimere un notevole afflato al Finale dalle inesorabili e lancinanti fraseologie, forse staccando un tempo appena un po’ troppo rapido. Privo di nerbo invece l’esordio e a tratti – absit iniuria verbis – addirittura soporifero il secondo tempo tutto preziosità, invece, e colori tenui delicati come gli acquerelli di Watteau. In apertura si era ascoltata l’Ouverture dal Mondo della luna di papà Haydn: pagina garbata e innocua al tempo stesso (ma non c’entrava nulla).
La si sarebbe potuta proficuamente sostituire con una ouverture mozartiana: per dire quella del Don Giovanni sarebbe risultata del tutto funzionale e avrebbe portato al 100% la coerenza del tutto. Pubblico, a dire il vero, entusiasticamente in visibilio, chissà mai perché (forse dacché dinanzi a brani celeberrimi e dunque applaudibili per così dire a priori) pur in presenza di una serata in cui l’OFT – in tutta onestà – si è mantenuta alquanto al di sotto del suo standard medio, insomma al di sotto delle sue potenzialità.
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