Tra l’entusiasmo del pubblico, Jacobs chiude a Torino il ciclo bachiano per MiTo
di Attilio Piovano foto © Mattia Boero
Ascoltare a distanza ravvicinata i due capolavori oratoriali bachiani – la Johannes dapprima quindi, due giorni dopo, la monumentale, sublime Matthäus-Passion – costituisce un’esperienza emotiva, oltre che estetica, davvero singolare. A maggior ragione se a proporla per MiTo è un complesso del livello dell’Akademie für Alte Musik Berlin, con il determinante apporto dello strepitoso RIAS Kammerchor, se a dirigerla è un musicista sensibile e colto quale René Jacobs che ha potuto contare su un cast di solisti mediamente di elevata caratura. Un impegno non da poco inoltre se si pone mente al fatto che i due capolavori sono stati proposti nello stretto giro di pochi giorni nei due capoluoghi, piemontese e lombardo.
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Se a Torino la Johannes ha attirato un pubblico un po’ scarso e pur entusiasta (era domenica sera, alla fine di una tiepida giornata di autunno), al contrario la Matthäus, la sera di martedì 22 settembre 2015, ha visto una folta partecipazione al Lingotto. E non vale il discorso: ‘non è l’ambiente acusticamente corretto’. Niente affatto, se l’interpretazione è di quel livello non ci sono ma e non ci sono se. Nessuna riserva. Jacobs impone tempi sciolti e scorrevoli, accarezza i dettagli e scandaglia i momenti topici interpuntati di dolenti cromatismi, ma fornisce una visione a tutto tondo di quel magistrale affresco che è la Matthäus-Passion. Quanta bellezza emerge nei superbi Corali, e non solamente nel più celebre («Erkenne mich meine Hüter»): ricorre ben cinque volte, con varianti armoniche che da sole meriterebbero un saggio analitico, tanta è la maestria di Bach nel variarlo, coniugata con una spiritualità che non ha eguali nell’intera storia della musica. E vien da cantarli, i Corali, unendosi alle voci dello RIAS. Personalmente ho un sogno (un po’ ingenuo e forse irrealizzabile nelle nostre contrade): insomma, se fossi un direttore artistico ‘incoraggerei’ apertamente il canto dei Corali stessi da parte del pubblico che lo desideri, facendone stampare il testo musicale sul programma di sala. Che bello sarebbe, sentirsi come i fedeli luterani che a Lipsia avevano il privilegio di tale esperienza, seguendo una prassi all’epoca del tutto naturale. Gli amici ragionevolmente per lo più deridendomi per questo mio bizzarro ‘sogno’ mi accusano di voler fare… il karaoke col sommo Bach.
E che gioia, poi ascoltare il dipanarsi della polifonia, fin dal monumentale coro d’esordio, con la complessa struttura a doppio coro e Corale inserito al centro, eppure Jacobs riesce nel miracolo di occultare – per così dire – la struttura, concentrandosi solamente sui valori musicali della pagina. Quanta poesia e intensità nelle arie con gli strumenti obbligati, dal flauto traverso agli oboi da caccia. Di gran livello la performance di Werner Güra che ha disimpegnato con viva partecipazione l’Evangelista, attento ad ogni minima rifrazione del testo, dai momenti incalzanti a quelli più intimi e toccanti. Bene poi anche il tenore Sebastian Kohlhepp impegnato sul versante delle arie, e così pure buona è parsa l’interpretazione del basso Konstantin Wolff. Da Andrè Schuen nel ruolo del Cristo avremmo voluto un pizzico di ieraticità in più, mentre ammirevole ed autorevole è stata l’interpretazione del mezzosoprano Kristina Hammarström (commovente la mirifica «Erbarme dich, mein Gott» dal cullante ritmo di berceuse), al di sotto, invece, il soprano Sunhae Im, ma si tratta di piccoli nei che non hanno per nulla incrinato l’efficacia di una interpretazione che nelle schegge del coro-turba tocca vertici assoluti (lancinanti interventi su acuminate armonie, come nel caso del grido «Barabbam» o «Kreuzige») e ancora nei molti ‘madrigalismi’ dalla singolare pregnanza.
Successo enorme e pubblico a dir poco in stato di grazia, nel più ampio senso della parola.
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