Alla Philharmonie di Berlino si è concluso ieri il ciclo dedicato all’integrale delle Sinfonie del compositore in occasione del 150° dalla nascita. Sir Simon Rattle ha diretto con trasporto ed equilibrio
di Simeone Pozzini foto © Holger Kettner
CENTOVENTOTTO MUSICISTI, ottantacinque collaboratori, venticinque nazionalità, quattro religioni. Lo striscione che riporta questi dati è appeso con grande visibilità nel foyer della berlinese Philharmonie, a testimonianza di una realtà che oggi più che mai esprime il proprio cosmopolitismo culturale ed una capacità nella gestione dell’azienda che ha pochissimi rivali nel mondo, in ogni sua forma: dalla Digital Concert Hall, che trasmette in live streaming i concerti, alla possibilità di prenotare un semplice aperitivo e di trovarlo comodamente preparato durante l’intervallo.
Conclusosi ieri del ciclo dedicato alle Sinfonie di Jean Sibelius del quale ricorre quest’anno il 150° dalla nascita, occasione davvero preziosa per avere una visione totale del corpus sinfonico, apprezzato moltissimo dal pubblico di una Philharmonie gremita. Ieri sera abbiamo ascoltato la Quinta, Sesta e Settima Sinfonia, nell’esecuzione Berliner Philharmoniker diretti da Sir Simon Rattle, profondo conoscitore di Sibelius, di cui per altro aveva già registrato l’integrale delle Sinfonie nel 1991 con la City of Birmingham Symphony Orchestra. Questo ciclo, iniziato il 28 gennaio, ha anche ospitato il Concerto per violino dello stesso compostore (op. 47, in re minore, del 1903-05) con il solista Leonidas Kavakos, dacché una linea di continuità compositiva, un ponte sinfonico nonché temporale, è gettato tra questa pagina e la stesura della Terza. Al Barbican di Londra il progetto sarà riproposto a partire dal 10 febbraio nella sua integrità.
Nella lettura di Rattle Jean Sibelius non è il compositore dell’immaginario della “foresta”, del folclore più alto e sinfonicamente strutturato o de-strutturato a seconda dei punti di vista. Non è il compositore sul quale porre accenti cinematografici, laddove frammenti di melodia spianata permettano un facile approdo ed abbandono emotivo. Rattle emoziona sì ma con contenimento e fairplay, tiene insieme i molteplici volti del complesso pensiero compositivo e umano di Sibelius, una sintesi di immaginari che riassume quella concezione formale ad espansione e stratificazione del suo sinfonismo. Sibelius è quindi ora novecentesco, ora tardo ottocentesco, ora sembra aver fatto tesoro dei suoi incontri con Mahler, ora certo sembra non dimenticare la natura nordica del paesaggio di Ainola intrisa di pathos leggendario.
Nella Quinta, diretta a memoria (a differenza delle altre due sinfonie), l’incipit dei corni rappresenta l’inizio di un percorso che è solo apparentemente rassicurante, e la triplice stesura di questa opera testimonia la sua travagliata genesi. Intonatissimi i corni dei Berliner (Rattle a fine concerto attraversa il palcoscenico della Philharmonie e va a congratularsi con loro) e meravigliosi gli impasti timbrici. Il vibrato degli archi sembrava uscito dalla mano di un solo musicista. Così come è impressionante il pianissimo orchestrale ascoltato dal vivo. Sesta e Settima eseguite senza soluzione di continuità; nella Sesta Rattle ha sottolineato quei sapori modali che rimandano agli studi di Sibelius su Palestrina e Orlando di Lasso; e che dire dei drammatici colpi di timpano (Settima) che preludono alle abissali regioni del suono! È la risalita dagli inferi verso una realtà che non è fatta di altezze e luci ma di spazi caduchi intorno a sé.