di Luca Chierici
Sofferente di una malattia neurologica ma ancora in grado di salire sul podio, Daniel Barenboim si sta congedando dalle orchestre con le quali ha più lavorato negli ultimi anni, quasi come una testimonianza di affetto e di fiducia in un progetto comune che in teoria non avrebbe mai dovuto avere termine.
Non siamo del tutto abituati a vedere la conclusione di carriere che abbiamo seguito si può dire fin dagli inizi e se il rapporto tra Barenboim e la Scala ha avuto il suo momento più intenso in tempi relativamente vicini a noi, le sue sporadiche comparse come direttore e pianista sono ben note a tutti i milanesi che ne seguono la carriera dagli anni giovanili. Reduce da una importante “quasi integrale” pianistica schubertiana alla Scala, tenuta nel 2014, Barenboim ha scelto ancora lo stesso autore come protagonista del suo commiato e lo ha fatto attraverso due pagine immense e ben note, la “Sinfonia incompiuta” D. 759 e la “Grande” nona in do maggiore D.944. Vi sono interpreti che nella estrema vecchiaia – in realtà Barenboim ha solamente 81 anni – si lasciano andare a una trasparenza di gesto e quasi a una giocondità espressiva che meraviglia ancora di più il pubblico. Non è stato il caso delle sinfonie eseguite da Barenboim l’altra sera, dove l’Incompiuta è sembrata più che mai plumbea, carica di tristissimi presagi là dove altri direttori hanno optato per una versione più cantabile e diremmo pacificatoria. Ci aspettavamo qualche guizzo di buonumore nella “nona”, ma anche in questo caso Barenboim ha rispettato un tactus molto rigido e tendente alla meditazione, contraddicendo pure se stesso. Tanto per avanzare un confronto, il direttore aveva diretto la nona sinfonia a Vienna meno di dieci anni fa con una durata che sfiorava il 15% in meno di quella relativa all’ascolto scaligero. Le scelte di tempo sono già molto chiarificatrici, ma è stato tutta la lettura di Barenboim a illustrare in maniera piuttosto cupa una sinfonia che in realtà si snoda lungo un percorso di serenità e ottimismo davvero insoliti per il momento esistenziale del grande compositore.
Il pubblico ha accolto questo fulmineo ritorno di Barenboim con un affetto che poneva in secondo piano qualche precedente screzio avvenuto in passato in occasione di qualche concerto preparato senza la consueta cura e approfondimento. Ma oggi possiamo in ogni caso approvare la standing ovation per un personaggio che alla musica e alla fratellanza tra i popoli ha dato tantissimo nel corso della sua lunga e felice carriera.