di Redazione

MI0003973615Il violoncellista francese Gautier Capuçon è uno dei maggiori talenti emersi negli ultimi tempi. Nonostante egli abbia solo trentaquattro anni, vanta già una serie invidiabile di incisioni importanti, sia in veste  cameristica che da solista, ed ora ci propone in questa novità Erato due capisaldi della letteratura violoncellistica: i concerti di Shostakovich. Sebbene fossero stati composti a distanza di pochi anni ed entrambi dedicati a Rostropovich, i due concerti presentano delle notevoli differenze stilistiche. Infatti, mentre il primo concerto può essere considerato un poema sinfonico il cui tema principale è formato dalle iniziali di Shostakovich traslitterate in tedesco (DSCH), il secondo è caratterizzato da una scrittura molto più variegata, dalle sfumature cangianti, ed è interamente percorso da una desolazione quasi angosciante (quanto ricorda a tratti il Secondo concerto per violino!).

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Anche la relazione tra orchestra e solista viene trattata diversamente nei due concerti: il primo vede una netta predominanza del violoncello sulle altre voci, mentre il secondo cerca un maggior dialogo e una varietà timbrica piuttosto mutevole, differenza che ben coglie Capuçon nelle due esecuzioni, realizzate a distanza di pochi mesi.

L’interpretazione del violoncellista francese tende a risaltare la predominanza del ruolo principale che gli appartiene nel primo concerto, evidenziando l’estremo virtuosismo della scrittura. Le parti melodiche sono rese con grande intensità, mentre i passaggi agitati sono sì coinvolgenti, ma in certi casi diventano addirittura ansanti (questo si avverte soprattutto all’inizio), come se la partitura non avesse mai dei punti di respiro e di distensione, che invece vengono ben colti nella libertà della cadenza, che ricopre l’intero terzo movimento. La sensazione che traspare ad un ascolto ininterrotto del concerto è di estremo vigore, che però certe volte si trasforma in irrequietezza.

Ben altro risultato si ha con il secondo concerto: qui Capuçon riesce a distendere con tranquillità l’amalgama sonoro che si crea con la Mariinsky Orchestra, guidata da un Gergiev che riesce ad essere molto meticoloso sulla cura del ritmo, soprattutto dei fiati, senza mancare di personalità sull’impasto timbrico, cogliendo appieno l’estrema varietà della geniale orchestrazione di Shostakovich. Ne esce un’esecuzione molto compatta ed intensa, dai sottili equilibri sonori e da una giusta varietà timbrica tra le grandi distese melodiche e le parti più ritmiche, che di certo non mancano di verve.

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Pubblicato il 2015-11-30 Scritto da StefanoCascioli

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