Dopo l’auspicato e promesso reintegro del FUS, in questi giorni si continua a polemizzare sul finanziamento pubblico alla cultura, a seguito dei ripetuti tagli avvenuti negli ultimi anni e di presunti “pentimenti” sul reintegro esternati da parte di un attuale ministro. Mi pare dunque che non ci si renda conto che il FUS serve ad alimentare e mantenere in vita migliaia di musicisti professionisti, che altrimenti resterebbero senza lavoro: senza il finanziamento pubblico alla cultura, numerose città italiane non avrebbero più una propria stagione di concerti. Un concerto di musica classica non è un ornamento, non è intrattenimento: è nutrimento dello spirito, è un momento di aggregazione sociale e di ricerca interiore. Un concerto consente di guardarci dentro, di ritrovare la nostra consapevolezza: in sintesi, la nostra identità culturale. Ed è una beffarda coincidenza che proprio mentre si festeggiano i 150 anni dell’Unità d’Italia qualcuno tra i governanti si scordi dell’importanza della cultura: quella che più di ogni altra cosa mantiene vive le coscienze e unisce i cittadini.
I tagli del FUS, come un bombardamento sui civili, tendono a colpire ciecamente e indistintamente i vari ambiti delle manifestazioni culturali italiane: più che di Unità d’Italia, oggi si può parlare di “unità di tagli”. Ma la musica colta è particolarmente a rischio: proprio per la sua connotazione anticommerciale, difficilmente essa si può autofinanziare con l’incasso dei biglietti venduti. Se il FUS verrà ridotto, i direttori artistici saranno quindi costretti a ripiegare su compromessi commerciali: i veri artisti dovranno cedere il posto a personaggi televisivi che, a dispetto della qualità, riempiano le sale per la loro popolarità mediatica. Tutto ciò, in pochi anni, si ripercuoterà sul livello culturale dei cittadini, specie di quelli più giovani, e ciò in parte sta già succedendo: essi si troveranno privati dell’educazione al bello, che è un diritto sacrosanto della società civile.
L’unica alternativa sarebbe il mecenatismo privato: basterebbe che alcuni singoli imprenditori illuminati decidessero di salvare un festival o un’orchestra: con il budget che alcuni sponsor investono su una singola squadra di calcio si possono finanziare interamente centinaia di stagioni concertistiche. Ma, a differenza che in molti stati stranieri, in Italia non esiste ancora un sistema di agevolazione fiscale che incoraggi realmente il mecenatismo culturale. E naturalmente il calcio, così come la Formula Uno o il festival di Sanremo, offre una visibilità mediatica incommensurabilmente maggiore di qualunque evento di musica colta.
Per noi musicisti, intanto, non rimane che puntare sull’estero. Non è un caso, infatti, che già da qualche anno molti dei concertisti e direttori d’orchestra italiani svolgano la loro attività prevalentemente fuori dai patri confini. Celebriamo dunque l’Unità d’Italia suonando soprattutto fuori dall’Italia. Ma ciò non ci priverà dell’orgogliosa consapevolezza di appartenere al Paese della Musica e della Cultura per eccellenza.
Roberto Prosseda