«Tutto prende forma appena trovo l’equilibrio, e l’invenzione nasce dal susseguirsi del chiaroscuro delle forme plasmate dal mio pollice. È solo un ritmo scandito in armonia, come note musicali…». Verona, è il 1972 e lo scultore Gino Bogoni sta lavorando a Lotus, opera con cui l’anno successivo vinse il Primo Premio al 9° Concorso Internazionale del Bronzetto di Padova
di Anna Barina
AL CIVICO 24 DI VIA AMATORE SCIESA oggi c’è ancora il suo studio. Il tavolo di legno, gli attrezzi alle pareti e il fornello a gas incrostato di cera nera per i modelli sono lì, insieme al grembiule da fabbro d’idee macchiato, indurito e appeso ad un chiodo. Anche Lotus è lì, con il suo nucleo piatto e quelle lamelle, quasi aculei di riccio, che non si capisce se escano o entrino dal ventre. Viene voglia di toccarlo, di accarezzare la superficie liscia a partire dal foro centrale, un ombelico generatore e divorante al tempo stesso. Deve averlo pensato anche Francesco Sguazzabia, nome d’arte del percussionista Sbibu, la prima volta che entrò. «Mio suocero aveva creato Lotus affinché venisse suonato» – racconta Patrizia Arduini Bogoni «Cercò qualcuno che lo facesse senza tuttavia riuscire a trovarlo».
Negli anni molti percussionisti sono arrivati per Lotus, tutti spaventati all’idea di suonarlo con le mani. Sì, con le mani, perché suonare Lotus con delle bacchette è impensabile: solo mani disarmate, nude come quelle di colui che lo ha creato possono tirarne fuori la voce. Sbibu ha accettato la sfida. Diteggia, sfiora, percuote Lotus ma anche Helianthus, Quadrato Vitale, Forma Viva, Ombre, Sviluppo Tridimensionale, le altre figlie del genio di Bogoni che si sono concesse a lui come solo al loro artefice. Sbibu è l’anima gemella di Gino Bogoni. «È come io amavo definire mio suocero: un “pellerossa”» – sottolinea Patrizia – «Un talento unico, perché autentico, vero, genuino». Sbibu ha imparato ad amare le sculture bronzee di Bogoni come solo lui sapeva fare: le accarezza, le stimola, le seduce e si lascia sedurre. Parla loro e le fa parlare. Il risultato sono suoni dolci e cristallini, melodie ancestrali che colpiscono nel profondo raccontando una storia incredibile e senza tempo, quella di Gino.
Nato il 7 luglio 1921 a Verona da una famiglia numerosa, Gino Bogoni visse un’infanzia infelice segnata dalla perdita prematura della madre. A soli sei anni, nel cortile di casa, scolpiva immagini con ferri rudimentali su pietre e sassi. Qualche anno dopo, nel 1933, fu mandato a lavorare da un marmista al cimitero di Verona. Trascorreva le giornate incidendo epigrafi e lucidando lapidi, talvolta scolpiva qualche immagine di Madonne e Cristi. Il destino era però all’angolo, e si manifestò in Egidio Girelli, allora direttore dell’Accademia di Belle Arti “Cignaroli”. Accortosi della straordinaria quanto precoce abilità del giovane, Girelli lo volle subito in Istituto come allievo prediletto, facendolo anche insegnare, appena tredicenne, agli allievi del Liceo Artistico. Gli affidò commissioni di opere importanti ripagandolo non sempre con quanto gli sarebbe spettato.
Gino Bogoni tuttavia non nutrì mai rancore o invidia, la sua vocazione era disinteressata e la sua dedizione all’arte totale e gratuita da concepire l’artista come un eroe, «perchè sa dare tutto in cambio di nulla, anche in cambio di non essere capito». E Gino Bogoni fu certamente un eroe nel sopravvivere agli stenti della campagna di Russia da cui rientrò solo e a piedi, un eroe nel sopportare la malattia che per vent’anni lo sfiancò. Dal dolore ricavò maggior vigore nel plasmare le sue sculture proiettandosi nel mondo nuovo che nasceva con esse. Bogoni, piuttosto, si tormentò perchè il suo lavoro non era compreso, in primis dai suoi concittadini. E lo scrisse nel suo diario: «mi ritengono solo un bravo artigiano». Per fortuna non è stato sempre così, i riconoscimenti, anche internazionali, sono arrivati numerosi e le sculture di Bogoni continuano a parlare. La voce di Gino rivive attraverso le mani di Sbibu nel “Concerto in bronzo” e ascoltarla e ammirare le sue opere è possibile presso l’atelier veronese ogni ultima domenica del mese su appuntamento al 347-1262910. Perché, come scriveva lui con un velo di nostalgia, «Le mie opere saranno sempre là a rappresentarmi, a difendermi».
Anna Barina