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Si è spento il grande violista: dopo la trentennale esperienza nel Quartetto Italiano, si dedicò all’educazione musicale rivoluzionando il panorama del nostro Paese
di Patrizia Luppi
Q uando, nel 1977, fu colpito da un tremendo insulto cardiaco che lo portò ai limiti della morte (e che mise amaramente fine al suo impegno trentennale come violista del Quartetto Italiano), in pochi osarono sperare che Piero Farulli riuscisse a rimettersi in pieno. Invece il vecchio leone, tra problemi di salute e travagli personali di ogni tipo, ma anche tra realizzazioni portentose e battaglie agguerrite, è riuscito ad arrivare fino a ieri, domenica 2 settembre 2012, spegnendosi nella sua casa di campagna, nel Mugello, all’età di 92 anni: era nato il 13 gennaio del 1910. Negli ultimi anni era sempre più fiaccato nel fisico, ma ancora tenace nell’aggrapparsi alla vita come si era mostrato in ogni campo e in ogni momento della sua esistenza.
Già per la sua lunga appartenenza al leggendario Quartetto Italiano, Farulli meriterebbe un posto d’onore nell’albo d’oro dei musicisti di tutti i tempi. Ma nella seconda parte della sua esistenza, forse più ancor fruttuosa della prima, a prendere uno spazio quasi esclusivo – poche, ma di altissimo livello, le sue successive collaborazioni musicali: con il Quartetto Amadeus, l’Alban Berg, il Melos, il Trio di Trieste – fu la sua attività di didatta, di pioniere, di apostolo dell’educazione musicale e non soltanto: quella per la preparazione culturale degli studenti di musica fu una delle sue tante battaglie. Rotti i ponti con il Conservatorio Cherubini di Firenze dove insegnava, fondò nel 1974 la Scuola di Musica di Fiesole. L’intento, per quei tempi rivoluzionario, era quello di offrire un insegnamento musicale qualificato a chiunque, indipendentemente dall’età e dal talento innato: dai bambini in tenera età agli anziani, dai semplici amatori a chi studiava con intenti professionali.
Fiore all’occhiello della Scuola di Musica fu l’Orchestra Giovanile Italiana, fondata nel 1982 su modello dell’Ecyo – la European Community Youth Orchestra, ora Euyo-European Union Youth Orchestra – di Claudio Abbado; sul suo podio salì per primo tra i grandi maestri Riccardo Muti, poi Carlo Maria Giulini, Zubin Mehta, Giuseppe Sinopoli, lo stesso Abbado e tanti altri. Circondati come siamo da un fiorire di orchestre giovanili, forse fatichiamo a ricordare che trent’anni fa l’Italia non ne contava neanche una: a ribaltare la situazione fu proprio Farulli, ed è in grandissima parte merito suo se oggi a entrare in Conservatorio non è soltanto l’aspirante solista (a forte rischio di frustrazione), ma anche chi desideri fin dal principio arrivare a far parte di una compagine orchestrale.
Presso la Scuola di Fiesole, con l’OGI, all’Accademia del Quartetto fondata successivamente, ma anche in altre sedi di prim’ordine come l’Accademia Chigiana di Siena e il Mozarteum di Salisburgo, Farulli ha per decenni prestato in prima persona la sua opera di docente, formando un gran numero di violisti e di quartetti diventati poi famosi; per fare solo qualche nome, il Quartetto Prometeo, i Quartetti di Cremona, di Venezia, di Torino. Al suo fianco, da sempre, la compagna di ispirazioni e di battaglie (i fondi non bastavano mai, le promesse dei politici troppo spesso venivano disattese) che sarebbe poi diventata la sua seconda moglie, Adriana Verchiani, attuale sovrintendente della Scuola.
Abbiamo ripetutamente parlato di battaglie perché Farulli, non c’è dubbio, era un crociato. Al suo credo nell’educazione musicale non tollerava opposizioni né risposte incerte. Era pronto a combattere contro istituzioni e singoli, anche rompendo senza ripensamenti relazioni importanti. Ma era anche capace – e chi scrive l’ha sperimentato personalmente – di grandi attenzioni, di duraturo affetto e di lealtà per chi sentiva amico.
Era, insomma, un uomo di passioni e la sua è un’eredità appassionata, che non sta soltanto nelle mirabili interpretazioni che ancora possiamo ascoltare del Quartetto Italiano, né nell’attività fecondissima della Scuola di Fiesole, che con le sue migliaia di allievi da tempo ormai è affidata a mani esperte, sensibili e capaci (Andrea Lucchesini, direttore artistico, accanto ad Adriana Verchiani). L’eredità di Piero Farulli sta in gran parte nell’impulso generosamente offerto a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarlo e che oggi continuano a diffondere nel mondo le sue idee, la sua lezione, il suo fervido amore per la musica e per i giovani.
Così muore, ma non scompare, un uomo grande e vero.
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Ho avuto il grande onore ed il piacere di conoscerlo personalmente, quando ero studentessa al Conservatorio di Firenze. Un grande didatta, un grandissimo musicista, un personaggio straordinario che. sicuramente, avrebbe meritato molta più considerazione dalla stampa. Ma in Italia siamo fatti così, conta senza dubbio molto di più il festival di S.Remo che la vera cultura musicale, quella con la C maiuscola!
Arrivederci Mestro Farulli, grazie per i suoi insegnamenti e per l’arte di cui ci ha fatto dono!