
Concerti • Il direttore ha inaugurato con successo al Teatro alla Scala la stagione del Quartetto con la Mahler Chamber Orchestra. In programma pagine di Wagner, Beethoven e Mahler con il solista Matthias Goerne
di Luca Chierici
LA SOCIETÀ DEL QUARTETTO HA INAUGURATO IERI SERA la propria stagione dei 150 anni scegliendo la sede non istituzionale del Teatro alla Scala, come è accaduto in passato diverse volte in occasione di eventi particolarmente importanti. La tradizionale sala del Conservatorio sarebbe stata ugualmente ideale per ospitare un concerto che tra le altre cose è stato anche giocato sull’ambiguità rappresentata dal termine “orchestra da camera” : non solo la Mahler sa produrre un volume e un impasto di suono che le permette di spaziare con ottimi risultati in un repertorio sinfonico tout court, ma le stesse scelte interpretative di Daniele Gatti hanno dimostrato come si possa trasformare il carattere di una pagina come l’Idillio di Sigfrido o proiettare su grande scala l’esecuzione dell’Eroica anche partendo da un ensemble numericamente limitato.
Gatti e la MCO hanno messo in luce molti dettagli di non consueto ascolto, soprattutto nel tessuto contrappuntistico
In una indovinatissima scena di Ludwig, Visconti descrive la prima esecuzione domestica dell’Idillio, avvenuta nella villa di Tribschen la mattina del Natale del 1870. Wagner aveva dedicato questo lavoro personalissimo alla moglie come omaggio per il suo compleanno (Cosima era nata il 24 dicembre del 1837), e per festeggiare sia la nascita del loro primo figlio maschio, Siegfried, avvenuta nel giugno dell’anno precedente, sia il loro “matrimonio riparatore” del 25 agosto, svoltosi dopo che Cosima aveva ottenuto il divorzio da Hans von Bülow. Ora, la partitura dell’Idillio riporta 13 parti, tra archi e fiati, ma può essere eseguita con alcuni raddoppi da un’orchestra più folta. Nel film di Visconti ci sembra compaiano 18 strumentisti (la pretesa maniacale accuratezza nei dettagli del famoso regista non era poi così a prova di bomba) che eseguono l’Idillio con grande ricchezza di suoni e colori. La Mahler Chamber Orchestra interveniva alla Scala con un numero di esecutori ancora maggiore ma – e qui chiariamo una volta per tutte i dubbi di tutti coloro (e ce ne sono tanti) che chiedono “a cosa serve il direttore d’orchestra” – Daniele Gatti ha impostato a sorpresa i piani sonori su un livello inferiore a quello indicato in partitura. Non con un “piano” è iniziato il pezzo, bensì con un “pianissimo” che ha subito spiazzato l’ascoltatore. Non si trattava solamente di una diversa calibrazione dinamica, ma di un modo tutto particolare di pensare la partitura, proiettandola in una dimensione estremamente rarefatta, intimissima, e sottolineandone alcune caratteristiche anticipatrici di momenti musicali futuri.

Sapevamo che per certi versi l’Idillio poteva preludere a una partitura dal doppio aspetto cameristico e sinfonico come le straussiane Metamorphosen, ma non ci eravamo mai accorti che certi disegni accordali in terzine, se eseguiti con le scelte dinamiche e ritmiche di Gatti, richiamassero certe atmosfere raggelate dell’incipit di “Morte e trasfigurazione”. Lettura interessante, quella del direttore milanese, ma non “classica” e quindi meritevole di applausi più convinti da parte di un pubblico che si aspettava forse qualcosa di diverso. Né la prospettiva cambiava considerevolmente nei Rückert-Lieder di Mahler, dove Gatti tendeva ancora a sottolineare un gioco di anticipazioni ben noto che ci riporta all’atmosfera di dolce commiato della nona sinfonia o a certi momenti dell’Adagietto della quinta. Ma qui a rendere più “fisico”, più terreno il discorso musicale ha pensato quello straordinario baritono che è Matthias Goerne, degno successore dell’indimenticato Fischer-Dieskau e in possesso di un timbro di splendida corposità. Goerne ha davvero trovato accenti di commovente verità nei testi musicati da Mahler e ha raggiunto un culmine espressivo nel penultimo Lied del ciclo, là dove anche il proprio Maestro raggiungeva esiti di stupefacente bellezza.
La serata doveva prendere un piglio totalmente differente – e qui ci permettiamo di far notare una impaginazione di programma per lo meno inconsueta – una volta arrivati alla presentazione dell’Eroica di Beethoven. Una lettura assieme asciutta e appassionata, con scelte di metronomo coerenti con la prassi esecutiva filologica, sostenuta da un’orchestra di virtuosi, ha alla fine strappato al pubblico un consenso totale e convinto cui non ha fatto seguito la concessione del tradizionale bis. Gatti e l’orchestra hanno messo in luce molti dettagli di non consueto ascolto, soprattutto nel tessuto contrappuntistico, e allo stesso tempo si sono resi protagonisti di una operazione di allargamento delle sonorità che andava nella direzione opposta rispetto a quella seguita nella pagina di apertura del programma. Chamber Orchestra, quindi, con valenze molteplici che ne fanno uno strumento ideale per un direttore che ne sappia sfruttare tutte le potenzialità. Anni fa, nel corso di una intervista che Gatti ci aveva rilasciato durante il Festival di Verbier, dove dirigeva per la prima volta l’orchestra giovanile stabile proprio nell’Eroica, il direttore aveva confidato di aver dovuto lavorare molto “per cercare di prosciugare il linguaggio, di andare all’essenziale e frenare certi ardori giovanili tipici degli orchestrali che non hanno una vita di esperienze alle spalle”. Con la Mahler ovviamente questo problema non si poneva, e proprio il connubio tra le intenzioni del direttore e le naturali possibilità dell’orchestra spiega alla fine il successo globale della serata.
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Intervistato in esclusiva dal Corriere Musicale nel 2011, parlando dell’aspetto del “tempo” e dei i metronomi beethoveniani, Daniele Gatti affermò: «Possono essere indicazioni interessanti. Io credo che poi alla fine, partendo da questo tipo di indicazione, ognuno possa trovare il ritmo nascosto dietro le note, dietro la struttura, dietro l’articolazione. Il primo movimento della Pastorale lo penso in “uno”. La distribuzione dei pesi fa sì che il fraseggio ogni quattro/otto battute consenta il respire in un certo modo, e quindi facendo così il primo allegro risulta non contemplativo ma vissuto in prima persona».
Quanto della sua esperienza di direttore d’opera trasmette nel sinfonismo beethoveniano?
«È sempre una questione di calibratura. Noi possiamo anche pensare che la forma-sonata possa essere vista come una forma teatrale di per sè. Noi abbiamo due temi, che possono essere davvero due personaggi. Il primo tema, il secondo tema, si passa da una sponda all’altra con il ponte modulante. Possiamo avere uno scenario di fronte a noi quando eseguiamo un primo tempo di forma-sonata. Ci addentriamo nei conflitti dello sviluppo per poi uscirne e ritornare alla ripresa dove i temi sono più uniti fra di loro, perché c’è una vicinanza tonale maggiore. Quindi perché non vedere teatro in tutto ciò? Non dico di esasperarlo, non stiamo parlando della fuga, forma aulica perfetta, e che richiede a livello di esecuzione meno teatralità possibile perché vive in quanto tale. Ma sulla forma sonata…. Scuole di interpretazione (per esempio Mengelberg) estremizzavano prima della guerra la velocità del primo tema con quella del secondo. Oggi noi tendiamo ad uniformare il tutto, a trovare un unico tempo.»
A questo link tutta l’intervista
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