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Opera • Il capolavoro händeliano eseguito in forma di concerto al Theater an der Wien, con interpreti in ampia parte ripresi da una recente incisione discografica: prove eccellenti di Cenčić e di Lezhneva
di Francesco Lora
IN UNA CITTA CHE, COME VIENNA, STRARIPA DI MUSICA da cento istituzioni, il Theater an der Wien è il salotto buono per l’allestimento di opere rare e per l’ascolto del repertorio preclassico: repertorio che, sorprenda o meno, nel Konzerthaus, nel Musikverein e nello Staatsoper ha scarsa o nessuna cittadinanza. Appena aperta la sua stagione artistica 2013-14, due spettacoli hanno meritato l’attenzione degli appassionati di teatro d’opera settecentesco: un’esecuzione in forma di concerto dell’Alessandro di Georg Friedrich Händel (25 settembre; nell’àmbito di una tournée con tappe anche a Wiesbaden, Versailles, Vichy, Bucarest, Amsterdam, Parigi, Atene e Bruxelles) e l’allestimento scenico della Semiramide riconosciuta di Leonardo Vinci, nella sua versione pastiche preparata da Händel stesso (dieci recite dal 23 settembre al 15 ottobre, nella sala sussidiaria del Kammeroper). Nel primo caso sono stati schierati in ampia parte i medesimi eccellenti interpreti di una recente incisione discografica per Decca, per il gusto di dimostrare come dal vivo si possa superare sé stessi; nel secondo caso – si veda la recensione gemella della presente – si è trattato della riscoperta di un capolavoro dimenticato, riproposto in povertà di mezzi ma con tanta perizia musicale e registica da fissare un esempio per l’allestimento di tutto il repertorio congenere.
E le primedonne? A differenza di quanto avvenne a Londra nel 1726, a Vienna la sfida è stata ad armi dispari
L’Alessandro risale a quel momento fortunato della vita musicale londinese (marzo 1726 – maggio 1728) nel quale Francesca Cuzzoni e Faustina Bordoni, i soprani femminili allora più apprezzati e meglio pagati della scena italiana, furono entrambi scritturati dalla Royal Academy of Music e fatti esibire negli stessi titoli (come se negli scorsi anni ’50 fosse stato possibile assistere a un Don Carlo o a un’Aida con Maria Callas e Renata Tebaldi fianco a fianco nelle prime parti). Händel gestì la portata commerciale del fenomeno con tutte le convenienze teatrali, e in particolare preparando opere dove le due primedonne sono trattate alla pari per numero d’arie e rilevanza di situazioni. L’Alessandro, dove Lisaura e Rossane si contendono l’amore del re di Macedonia, ben lo esemplifica: se la Lisaura/Cuzzoni agiva nello stile lombardo della melodia patetica e dell’agilità di forza, la Rossane/Bordoni agiva nello stile napoletano della melodia affettuosa e dell’ornamentazione di grazia. Dunque, ricerca dell’equilibrio nella differenza di specialità: guai a far diversamente, se è vero che durante una recita dell’Astianatte di Giovanni Bononcini le due primedonne vennero agli insulti e alle mani.
Tra le due litiganti, godeva il terzo: in quegli stessi spettacoli il Senesino, contralto castrato, ricevette spesso più arie delle due donne, e dunque più occasioni di applauso. A Vienna l’erede del Senesino era Max Emanuel Cenčić, controtenore cui non solo la parte protagonista, ma l’intero progetto di questo Alessandro deve molto: voce risonante, timbro omogeneo ma forte di una pugnace incisività nell’acuto e di un maschio velluto nel grave, agilità sgranate con inaudita energia; si ammira tutt’insieme ciò che in un falsettista, per limite naturale e tecnico, è quasi impossibile trovare già a brani. In più si ammira la minuzia interpretativa, non priva di una straniata ironia, su un personaggio sospeso tra la gloria militare, la tracotanza in faccia agli dei e il bizzarro amore di due donne. Gli altri elementi della compagnia di canto trovano vistosamente in Cenčić il punto di riferimento per la loro recitazione, avvenga essa anche senza scene e costumi, bensì attraverso il canto e qualche gesto estemporaneo; come lui, tutti scelgono di cantare la parte loro a memoria anziché al leggio, eliminando così un fastidioso diaframma tra l’interprete e l’uditorio.
E le primedonne? A differenza di quanto avvenne a Londra nel 1726, a Vienna la sfida è stata ad armi dispari, lasciando a entrambe l’onore, ma anche una vinta e una vincitrice. La statunitense Laura Aikin ha un’età ormai tenuta segreta e una carriera di soprano di coloratura attivo sul grande repertorio, tra una Regina della Notte, un’Olympia, una Zerbinetta e l’altra. Il suo interesse per il barocco si è manifestato di recente – come nel Polifemo di Porpora del febbraio scorso, anch’esso al Theater an der Wien e recensito dal «Corriere musicale» – e la trova dotata di tecnica ed esperienza. Il timbro asprigno e una certa estraneità stilistica non possono tuttavia procurare il colpo d’ala alla sua Lisaura, assai generica nella caratterizzazione vocale e attoriale. Il cimento è tanto più arduo quando al suo fianco si trovi la russa Julia Lezhneva, sfacciata ventitreenne che è anche una delle massime musiciste e virtuose dei nostri tempi, eclettica anch’ella nel repertorio ma figlia di una generazione cresciuta a pane e barocco. Come la Bordoni, anche la Lezhneva sale e scende con ogni agio, ma preferisce assestarsi nel registro centrale, dove può far valere la malia di un timbro rotondo e femminile. Sostiene il cantabile con una purezza siderale, riscaldata tuttavia da una musicalità formidabile, e nel virtuosismo rischia di non essere seconda ad alcuna: prende fiato e su un’unica arcata, mai interrotta in fatto di legato, colore e armonici, articola con aria innocente e divertita le più perverse diavolerie di figurazione melodica (come quelle dell’aria «Alla sua gabbia d’oro», dove la voce svolazza tra trilli, terzine, picchettati e semibiscrome, assortiti tra loro in modo “ornitologicamente” imprevedibile).
Intorno al primo uomo e alle due primedonne si distingue il Tassile di Xavier Sabata, controtenore di buona grana anche senza replicare l’eccezione preclara che Cenčić fa rispetto ai limiti della categoria. A margine, sia per l’esiguità dei ruoli sia per la troppo esagitata interpretazione (l’iperrealismo espressivo non si confà al teatro settecentesco), rimangono il Clito del basso Pavel Kudinov, il Leonato del tenore Juan Sancho e il Cleone del controtenore Vasily Khoroshev. Luminosa, piana, cordiale, giustamente asservita al canto è la concertazione di George Petrou alla testa di Armonia Atenea, musicisti greci che negli ultimi anni stanno tenendo testa alle più rinomate orchestre con strumenti originali dell’Europa occidentale. Peccato solo per l’eccessivo numero di tagli, con l’atto III ridotto a un mozzicone di tre sole arie. Agli applausi finali, Cenčić fa strame della par condicio tra le primedonne: nessun mazzo di fiori a loro, ben tre per lui piovuti dai palchi, oltre che un orsacchiotto di peluche. Fosse stato un leoncino, l’omaggio ad Alessandro il Grande sarebbe stato perfetto.
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