
A Firenze in scena l’attualità musicale nel festival che, tra gli altri, ha visto protagonisti l’ensemble L’Homme Armé, Alfonso Alberti, Karin Hellqvist, Osso Exótico, Francesco Dillon ed Emanuele Torquati
di Daniela Gangale
A VILLA ROMANA SI RESPIRA aria buona. E non solo perché la villa è un posto magico, adagiata sulla via Senese appena fuori dal centro di Firenze, immersa in un parco pieno di cipressi e olivi e visitata di notte dalle lucciole; ma anche e soprattutto per il festival music@villaromana che non ha niente di stantio e prevedibile come purtroppo parecchi dei festival di musica contemporanea in giro per l’Europa, dove troppo spesso si respira “aria vecchia”. La programmazione di qualità, la ricerca di quanto di più innovativo offra il panorama internazionale in un’ottica di commistione e coabitazione – ci si passi il termine – dei generi, si coniugano in questo festival con la capacità di creare un’atmosfera di piacevole rilassatezza, che avvicina un pubblico non convenzionale e mediamente giovane, rendendo questo appuntamento un vero gioiello, imperdibile per chi è a Firenze e capace di non far rimpiangere il viaggio a tutti gli altri. Il format che i due organizzatori e fondatori, il violoncellista Francesco Dillon e il pianista Emanuele Torquati, perfezionano anno dopo anno ha l’ulteriore merito di sfruttare gli spazi della villa al meglio, in una continua dialettica tra il dentro e il fuori, molto piacevole per chi partecipa: in ogni serata ci sono dai due ai tre momenti musicali distinti, diversi per organico e per tipo di musica, alcuni dei quali si tengono all’interno della villa, altri all’interno di un suggestivo padiglione in giardino, realizzato con materiali di recupero; tra un concerto e l’altro ci sono dei momenti conviviali all’aperto a cui partecipano anche gli artisti, durante i quali si può bere, scambiare opinioni e conoscersi.
L’edizione di quest’anno, che avrà un ulteriore momento dal 3 al 5 ottobre, si è aperta venerdì scorso con una composizione di David Lang, Passion, Premio Pulitzer per la musica 2008. Nel testo di Lang la fiaba di Andersen La piccola fiammiferaia viene riletta attraverso la lente della Passione secondo San Matteo di Bach: il risultato è una commovente e minimalista passione laica che è stata magistralmente interpretata dall’ensemble L’Homme Armé, una delle più note e stimate formazioni vocali italiane di musica antica. Che un ensemble che si occupa di musica antica si dedichi alla contemporanea non è una contraddizione; molte delle problematiche connesse alla musica del passato si ritrovano in quella del presente, rendendo stimolante per gli interpreti la ricerca di una soluzione parallela. E in effetti questa musica di Lang (autore giunto alla ribalta delle recenti cronache per via dell’incipit musicale ne La Grande Bellezza di Sorrentino) come certo gregoriano o certa musica del primo rinascimento, è una musica che crea un ben definito e tangibile “spazio” sonoro, all’interno del quale vengono agiti con straziante verità i sentimenti del dolore, dell’abbandono, della disperazione e della speranza. L’avvio del festival ha dunque regalato ad un pubblico attentissimo un momento di profonda emozione, confermato anche nei tre bis pretesi dagli ascoltatori. Il secondo momento della serata è stato dedicato al pianoforte di Alfonso Alberti, musicista milanese che ha proposto un programma molto vario in cui brani recentissimi come le Sei annotazioni di Martino Traversa sono stati accostati a composizioni ormai classiche del repertorio contemporaneo come alcuni Studi di György Ligeti o agli ironici pezzi di Gérard Pesson, scelti dalla raccolta Musica Ficta. Alberti ha messo in luce soprattutto gli aspetti percussivi del pianoforte, dimostrando la sua spiccata personalità e il suo piglio istrionico; piacevolissime sono state poi le introduzioni che ha offerto al pubblico prima di ogni gruppo di brani che, soprattutto nella contemporanea, si rivelano preziose per una fruizione più consapevole. La serata si è conclusa con un terzo momento dedicato alla musica sperimentale ospitato nel padiglione in giardino, in cui Francesco Dillon col suo violoncello ha affiancato David Maranha all’organo elettrico in un’improvvisazione che definiremmo psichedelica.
La serata di sabato ha invece previsto due momenti: il primo animato dal duo formato dalla violinista svedese Karin Hellqvist e dalla pianista brasiliana Heloisa Amaral; il secondo dal gruppo portoghese Osso Exótico. Ampio e vario il programma proposto dal duo, che comprendeva composizioni di Schoenberg, Bakla, Pauly, Buene, Janáček e Xenakis in una visione del Novecento a tutto tondo, dal mood tardo-romantico di Janáček alle sonorità minimalistiche e ipnotiche di Pauly; in particolare ci è piaciuto il brano Untitled che il compositore norvegese Eivind Buene ha scritto appositamente per questo duo, immaginando una sorta di dialogo a distanza tra un violino e un pianoforte che, anziché intrecciare le proprie voci come al solito, si guardano da lontano senza mescolarsi, ognuno con la sua personalità ben distinta. Le due giovani musiciste hanno condotto tutto il programma con grande temperamento ed entusiasmo, conducendo il pubblico attraverso paesaggi sonori e mentali diversi ma ugualmente affascinanti. La serata si è conclusa con la sessione di improvvisazione nel padiglione, protagonista questa volta Osso Exótico. Il fondatore del gruppo David Maranha, affiancato da Patrícia Machás e Riccardo Wanke, hanno proposto quasi un’ora di improvvisazione, trascinando letteralmente il pubblico in un’altra dimensione attraverso la ripetizione di pattern eseguiti con strumenti elettronici, capaci di creare un vero e proprio flusso ipnotico.
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