Dopo il problematico battesimo nell’aprile scorso, il nuovo allestimento straussiano trova stabilità musicale: eccellono la direzione di Schneider e il canto di Stemme, Larsson e Barkmin, mentre rimane modesto il discorso registico
di Francesco Lora foto © Wiener Staatsopoer – Michael Pöhn
TRA I NUOVI ALLESTIMENTI DEL 2015 allo Staatsoper di Vienna figura un’Elektra, omaggio un poco tardivo al centocinquantesimo compleanno di Richard Strauss. Nelle recite di aprile, il battesimo non è stato dei più fortunati: dimessosi Franz Welser-Möst dalla direzione musicale del teatro, la concertazione è passata a un ancor meno motivato Mikko Franck, mentre lo sforzo delle lunghe prove faceva, recita dopo recita, gettare la spugna ad alcune prime parti vocali (fino al simultaneo forfait di Nina Stemme come protagonista e di Anne Schwanewilms come Chrysothemis). Per godere di un ottimo assestamento musicale si è dovuta attendere la prima ripresa: quattro trionfali recite dal 13 al 25 novembre, con conferma non solo di gran parte della compagnia originale, ma anche del miglior paio d’elementi allora venuti in soccorso.
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Il primo elemento è il veterano Peter Schneider, direttore cui in aprile era spettata la sola ultima recita, ereditando così la concertazione di Franck. Ora egli non lavora più da subentrato in un contesto di nuovo allestimento, ove lo Staatsoper concede addirittura un ciclo di prove al concertatore, ma entra disinvolto nell’arena dello spettacolo di repertorio, dove il direttore incontra per la prima volta l’orchestra in recita, e può trovarne mutati i componenti a ogni rappresentazione. La vecchia questione non deve averlo mai impensierito, e ora pare anzi divertirlo: l’orchestra del teatro, alias i Wiener Philharmoniker, lo conoscono e lo amano, e al suo gesto pragmatico restituiscono una colata vulcanica di suono massiccio, sferzante, tagliente, secondo le situazioni e secondo la tradizione, senza velleità estetizzanti e con tutta la sapienza del mestiere.
Il secondo elemento riconfermato è il soprano Gun-Brit Barkmin, già sostituta della Schwanewilms e giovane specialista di – bizzarro terzetto, a vederne la coda – Wagner, Strauss e Britten. Com’è ovvio, la sua Chrysothemis risulta ora meglio inquadrata nell’assieme, e si attesta come una tra le migliori oggi alle scene. La parte agognerebbe al lirismo ma si trova schiacciata nel dramma a nervi tesi; la Barkmin realizza questo dato di fatto: è un soprano lirico, per natura, tecnica e vocazione, e a ogni fiammata del discorso musicale si trova al limite delle proprie possibilità; ma proprio questo piace: vederla buttare entusiasticamente l’anima, per protestare un’identità teatrale, sovrapponendo il proprio io artistico al carattere che il personaggio attende. Al suo fianco, le altre due parti femminili sono tenute con altrettanta perfezione.
Superba è la Stemme nella parte eponima: non c’è passo che insidi in lei la salute dello smalto, l’omogeneità del timbro, la facilità della risonanza, la completezza dell’estensione. Attorialmente più contenuta della Herlitzius, la supera nella più sana organizzazione vocale, ed è comunque una dicitrice di impegno superiore: lo si nota quanto Schneider allenta per lei i tempi, onde mettere in risalto il singolare scavo fatto della parola. Eccelle a sua volta Anna Larsson come Klytämnestra: la sua voce di velluto, nero nella qualità e liso nel porgere, con un fraseggio di profonda analisi e nessuna calligrafia, dà luogo a un canto di forbitezza liederistica nonché a un personaggio di vera, inedita, enigmatica regalità. Accanto alle tre signore, alto rimane il livello di tutto il folto comprimariato, mentre Orest passa dal carismatico Falk Struckmann a un Matthias Goerne rozzo e ingolato.
Nella complessiva festa della musica, a passare in secondo piano è infine proprio il nuovo allestimento, con regìa di Uwe Eric Laufenberg, scene di Rolf Glittenberg e costumi di Marianne Glittenberg. Dopo l’inevitabile trasposizione temporale ai nostri giorni, manca l’idea teatrale forte che sappia realizzare le minuziose didascalie o prendere da esse il largo con sufficiente audacia. Spunti sparsi: Elektra indossa un completo da uomo per tornare alla propria femminilità con l’arrivo di Orest; gli stessi due sono presentati come maturi cinquantenni, mentre Klytämnestra, decrepita e invalida, è colta nella sua vecchiaia estrema: il sopravvento fisico della figlia sulla madre potrebbe dunque compiersi già dalla prima scena, se non fosse che la sorella intende cedere ritualmente al fratello la vendetta del padre e la missione del matricidio. Temi dati e però non svolti.
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