Purcell incanta Torino, la messinscèna francese in prima esecuzione italiana per l’opera barocca, al Teatro Regio, con la direzione di Federico Maria Sardelli
di Attilio Piovano foto © Ramella&Giannese
CHE DIDONE ED ENEA DEL SOMMO PURCELL sia un capolavoro assoluto è quasi un’ovvietà. Una partitura di singolare bellezza, più ancora, di inusitata saldezza drammaturgica grazie anche al conciso libretto di Nahum Tate che, non a caso — a più di trecento anni dall’epoca di composizione (1689) — seduce tuttora le platee di tutto il mondo. Una partitura — per inciso — nata per una necessità contingente, un saggio di scuola o poco più, per un londinese collegio femminile a Chelsea guidato da Josias Priest. Purcell vi lavorò con tale entusiasmo, in evidente stato di grazia, benedetto dalle Cariti che sovrintesero all’ispirazione e ne scaturì una partitura immortale. Non così ovvio e scontato ritrovarla in cartellone entro una ‘normale’ stagione lirica e non già confinata nell’ambito di un festival barocco o quantomeno di una qualche manifestazione per così dire ‘specialistica’. Un plauso speciale, dunque, al Teatro Regio di Torino per la coraggiosa scelta (ripagata da ampi e convinti consensi del pubblico, ancorché colpevolmente un po’ scarso e diretta radiofonica su Rai Radio3), e dunque doveroso riconoscimento al merito di averla inserita in stagione come secondo titolo, dopo la trionfale apertura con la verdiana Aida ad inaugurare il filone Opera barocca, destinato a protrarsi negli anni: come da programmazione pluriennale espressamente voluta ed ideata da parte di Gianandrea Noseda direttore musicale, Gaston Fournier-Facio direttore artistico e del sovrintendente Walter Vergnano.
[restrict paid=true]
E qui la regìa ha toccato un vertice di poesia facendola come scomparire dolcemente tra i flutti, ovvero, come si conviene, senza tocchi di crudo realismo che sarebbero risultati dissonanti in un siffatto allestimento
L’opera (per la prima volta al Regio) è andata in scena giovedì 19 novembre 2015 (seguita da quattro repliche) nello spettacolare allestimento di Cécile Roussat e Julien Lubek che – formatisi alla leggendaria scuola dell’indimenticabile Marcel Marceau – hanno firmato regìa, scene costumi e coreografia (provenienza: Opéra de Rouen Haute-Normandie, in prima italiana). Un allestimento poetico, onirico e al tempo stesso di forte impatto spettacolare con tanto di acrobati e, per espressa scelta della coppia Roussat Lubek, col mare al centro dell’azione, presenza immanente evidenziata con vari, fortunati e pur consueti espedienti scenici (un sapiente gioco di veli e sete).
Sul podio dell’orchestra del Regio (opportunamente ridotta nei ranghi, ma nel contempo rimpolpata da strumenti ad hoc quali flauti a becco e dulciana, viola da gamba, tiorba e chitarra barocca) lo specialista Federico Maria Sardelli (al suo debutto al Regio) che fin dall’esordio ha saputo imprimere giusti tempi: evitando sia la nevrosi di certe esecuzioni iper cinetiche per la serie tutto-veloce-con-ritmi-forsennati, così pure scongiurando (per lo più) la monocromia di certi cosiddetti ‘barocchisti’, ma al tempo stesso distillando con pacati fraseggi i momenti di maggiore intensità e più elevato tasso di pathos, uno per tutti il toccante e conclusivo «Remember me, but forget my fate» a suggello dell’infausto destino della sfortunata principessa cartaginese che sopraffatta dal dolore cede al suicidio. E qui la regìa ha toccato un vertice di poesia facendola come scomparire dolcemente tra i flutti, ovvero, come si conviene, senza tocchi di crudo realismo che sarebbero risultati dissonanti in un siffatto allestimento. Forse un po’ discutibile la scelta di Sardelli di arricchire (o appesantire?) la partitura «con danze tratte dal catalogo di Purcell» dunque « rispettando la prassi dell’epoca e le atmosfere dell’autore. Uno spettacolo allargato — sono le sue parole — secondo lo schema seicentesco, ma filologicamente pertinente». Il rischio è stato di una certa qual dispersione.
Buona la resa dell’orchestra ed efficace l’integrazione di strumenti antichi e moderni, molto amalgamato il suono (da segnalare l’intervento della Fondazione Pro Canale per aver messo a disposizione delle prime parti dei professori del Regio strumenti ad arco sei-settecenteschi di alto valore). E si è trattato di uno spettacolo raffinato ed elegante dove coreografie, acrobati, luci (firmate da Marc Gingold, con suggestivi effetti per il mare, la grotta, le streghe e via elencando, per lo più virate sui toni del blu-azzurro), impianto scenico e movimenti registici (qua e là con appena qualche tocco prevedibile e conseguente effetto déjà-vu) apparivano coerentemente fusi in un tutt’uno organico e di innegabile presa.
Ed ora il cast. Molto toccante la performance di Roberta Mameli nel ruolo niente affatto secondario di Belinda, sorella e affettuosa, partecipe confidente, ottima emissione, tecnica sicura molte preziosità e cura dei dettagli. Bene Roberta Invernizzi, nel ruolo di Didone; buona dizione e voce ben timbrata, ma forse ci si sarebbe aspettati qualche emozione in più e, in complesso, una più variegata tavolozza espressiva. Corretto, ma senza vertici di soverchia emozione l’Enea del baritono britannico Benedict Nelson, per ora una promessa: è pur vero che la sua è una parte non di rilievo, tuttavia lo avremmo voluto più incisivo, psicologicamente più delineato e vocalmente più variato.
A completamento del cast sono da segnalare le presenze del tenore Carlo Allemano (che ha interpretato la maga con arguzia e ironia, appena qualche piccola caduta di gusto nella regia), del soprano Kate Fruchterman (seconda donna), del mezzosoprano Sofia Koberidze e del soprano Loriana Castellano (le due streghe); da rilevare infine il controtenore Carlo Vistoli (lo spirito). Assai ammirato – meritatamente – il coro per l’appropriatezza stilistica e l’efficacia degli interventi (molto opportunamente collocato in buca con buon risultato fonico), come sempre ben istruito da Claudio Fenoglio che per l’occasione ha compiuto un eccellente lavoro sui fraseggi e sul tipo di vocalità che l’opera barocca richiede (ben diversa da quella di norma prescritta per un coro lirico).
[/restrict]