L’Italia musicale celebrata nella capitale francese: lo scorso fine settimana tre giorni di concerti tematici, tutto sold out. Ecco come siamo rappresentati, con i nostri grandi compositori del passato – operisti – pochissima musica antica e contemporanea
di Barbara Babic
CI SI ASPETTEREBBE UN ROMANTICO weekend in musica vista la congiuntura con San Valentino, ma invece niente di tutto questo: per il suo consueto “weekend tematico” – appuntamento molto amato dal pubblico parigino di ogni età grazie al suo format che prevede spettacoli per bambini, conferenze, film, concerti sinfonici e cameristici – la Philharmonie glissa in toto sulla tematica amorosa sorprendendo con un fine settimana dedicato interamente all’Italia.
Si comincia in tarda mattinata alla Salle de répétition con il quartetto composto da Roland Daugereil (violino), Pascale Meley (violino), Nicolas Carles (viola) e Claude Giron (violoncello) a confrontarsi con il repertorio cameristico italiano ottocentesco. In programma il Quartetto in mi minore di Verdi, unico esempio del genere nel catalogo del compositore, la bella miniatura elegiaca intitolata Crisantemi di Puccini e in coda la trascrizione per quartetto curata da Emanuele Muzio di alcuni numeri di Luisa Miller. Poco più di un’ora di concerto, sfortunatamente troppo spesso interrotta dagli applausi, in cui i quattro musicisti, pur non suonando stabilmente insieme, dimostrano grande affiatamento e gusto nell’evidenziare ora il sommesso lirismo di Puccini ora la tensione drammatica di Verdi.
Si prosegue nel pomeriggio con Boulevard des Italiens, un “concert-promenade” al museo di strumenti musicali della Philharmonie. Evento ricorrente dei weekend tematici, prevede questa volta tre piccole ensemble composte da solisti dell’Orchestre de Paris ad accompagnare il bel percorso museale in una situazione più disimpegnata rispetto a quella della sala da concerto. Nella sala dedicata al Seicento si esegue il Quintetto op. 11 n. 1 di Boccherini mentre in quella del Settecento la prima e la sesta delle Sonate a quattro di Rossini, in una trascrizione per flauto, clarinetto, corno e fagotto. Grande affluenza ed entusiasmo in particolare nella sala dedicata al XIX secolo per il concerto dedicato alle arie operistiche in versione “jazz manouche”, rivisitate ed eseguite da Olivier Derbesse (clarinetto), Marc Trenel (chitarra, fagotto), Alexandre Gattet (chitarra, oboe), David Gaillard, (viola), Mathias Lopez (contrabbasso). Un bel potpourri operistico che inizia con Libiamo ne’ lieti calici, proseguendo poi con le ouvertures del Barbiere di Siviglia e della Forza del destino in salsa Django Reinhardt, il Coro delle zingarelle di Traviata unito a Ederlezi (dal film Il tempo dei gitani di Kusturica), e poi ancora E lucevan le stelle della Tosca pucciniana e passi della Sonnambula di Bellini. Una scelta che cade sugli evergreen operistici, trasportati fuori dal contesto teatrale con scanzonatezza, ironia e non da ultimo grande sapienza nella trascrizione e nell’effettistica timbrica e ritmica. Il fatto di introdurre brevemente i brani, seppur noti, rende l’atmosfera molto piacevole e rilassata, con una sensazione di vicinanza tra musicisti e pubblico non da tutti i giorni.
Highlight del weekend è senza dubbio il Requiem di Verdi che ha registrato sia alla prima di venerdì sera sia domenica il tutto esaurito, in cui si è potuta apprezzare una vasta compagine musicale formata da 88 orchestrali dell’Orchestre de Paris, 115 coristi (Chœur de l’Orchestre de Paris) e quattro solisti d’eccezione diretti dalla sapiente bacchetta di Gianandrea Noseda. Una lettura di densità e profondità senza uguali, che lascia con il fiato sospeso dalla prima all’ultima battuta: Noseda si dimostra un direttore di prima classe, con grande maestria sa calibrare i momenti di intimismo e drammaticità, e il tutto è eseguito con grandissima attenzione ai dettagli, prontamente accolti da un’orchestra in forma smagliante (sempre notevole la tensione nei raccordi tra i numeri, ottimo equilibrio nella fuga finale). Sceglie dei tempi piuttosto scorrevoli (il primo Dies irae) ed è sapiente nell’evidenziare i chiaroscuri della strumentazione verdiana, prediligendo un taglio quasi drammaturgico ma sempre nei limiti. Impeccabile la prova della soprano Erika Grimaldi che all’interno del quartetto di solisti appare la voce più consona nell’affrontare questa pagina verdiana: ampia e sicura tessitura vocale, è sempre raffinata ed elegante nell’intenzione e il suo Libera me finale è un momento di grande emozione. Eccellente anche la mezzosoprano Marie-Nicole Lemieux, dotata di un bel timbro potente e intenso (che suggestivo il suo Liber scriptus, che bello il suo incipit nella Lacrymosa) e notevoli anche le prove delle voci maschili: il tenore Saimir Pirgu si riconferma un buon conoscitore del repertorio verdiano sebbene risulti talvolta incerto (l’attacco dell’Offertorio) o un po’ troppo affermativo (Ingemisco), mentre il basso Michele Pertusi propone una bella lettura del Confutatis. Il coro preparato da Lionel Sow se la cava molto bene nell’ostica parte che gli ha riservato il compositore, proponendo una bella gamma di colori, grande concentrazione e precisione: senza dubbio eccellente per un coro di non professionisti. Si merita così un particolare plauso del pubblico che decreta con lunghissimi applausi il successo di un concerto riuscitissimo.
Il bilancio di questo weekend tutto italiano si può dire positivo: altissima qualità musicale dimostrata dai musicisti dell’Orchestre de Paris impegnati in questa maratona domenicale e ottimo riscontro del pubblico, nei numeri (tutto sold out) e nella risposta al termine di tutte le manifestazioni. Rimane solo un po’ di amaro in bocca e qualche perplessità in merito al taglio che si è voluto dare al programma generale di questo focus sull’Italia, tutto incentrato attorno a una manciata di operisti ottocenteschi (in primis proprio Verdi), con nessuna incursione nel repertorio antico, nel Novecento o nella contemporaneità (eccetto il concerto jazz di Stefano Bollani sabato sera). Alla fine si ha un po’ la sensazione di aver perso la preziosa occasione di far conoscere al pubblico parigino pagine e autori meno frequentati, trasmettendo così l’immagine stereotipata di un’Italia prettamente – per quanto squisitamente – operistica.