di Cesare Galla foto © Priamo Tolu
IL TEATRO LIRICO DI CAGLIARI prosegue il suo itinerario alla scoperta di Ottorino Respighi. Una navigazione solitaria, visto che altrove in Italia le opere del compositore bolognese sono ben lungi dal trovare la stessa attenzione. E anche coraggiosa: titoli come La campana sommersa, apertura della stagione 2016, o La bella dormente nel bosco, in scena in questi giorni per l’inaugurazione 2017, non solo non appartengono al repertorio ma sono tuttora vittime di una resistente per quanto superata “vulgata” storiografica, secondo la quale di Respighi vale la pena di ascoltare solo le grandi musiche sinfoniche e poco altro. Forse per questo gli intermittenti tentativi di rénaissance operistica respighiana finora sono sempre rimasti tali. Ora a Cagliari si dà l’impressione di voler fare sul serio. Anche perché il “focus” su Respighi – idea del sovrintendente Claudio Orazi, affiancato dal direttore artistico Mauro Meli – si accinge a trovare nuove occasioni varcando l’oceano: La campana cagliaritana verrà infatti rappresentata alla New York City Opera tra fine marzo e inizio aprile.
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Quanto alla Bella dormente, ritenuta da parte della critica (quella di matrice anglosassone) addirittura il culmine della drammaturgia respighiana, ha conosciuto vicende rappresentative decisamente singolari, probabilmente scontando anche la sua appartenenza a un genere considerato “minore”, quello dell’opera per le marionette. Nata nei primi anni Venti per la realizzazione da parte del celebre Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca a Roma, rielaborata circa un decennio più tardi a Torino in una versione destinata ad essere rappresentata da mimi bambini, sempre con i cantanti non presenti in scena ma sistemati in orchestra, soltanto verso la metà degli anni Sessanta, quando il musicista era già morto da trenta, questa partitura è stata realizzata dalla Rai a Torino come vera e propria opera lirica. Peraltro, in una versione ulteriormente rimaneggiata da un allievo di Respighi, Gian Luca Tocchi. Quell’idea – cioè realizzare l’opera con personaggi in carne ed ossa, che cantano in scena, rinunciando alle marionette e ai mimi – è poi rimasta lettera morta per quasi 40 anni, fino al 2004, quando ne è stata realizzata la prima versione teatrale, proposta al teatro Rossini di Lugo di Romagna con regia di Michal Znaniecki. Ora lo spettacolo di Cagliari, affidato per la regia a Leo Muscato, che ha raccolto al debutto un successo cordialissimo.
La partitura di Respighi – “lavorata” da par suo da un direttore esperto, colto e sensibile come Donato Renzetti – è risultata un piccolo gioiello, reso più brillante e limpido dalla necessità di confrontarsi con la popolare fiaba di Perrault. Intessuta di ampie pagine solo strumentali (danze, marce, interludi), basata su di un’orchestrazione leggera, quasi cameristica, ma non per questo meno ricca di colori e di suggestioni espressive, essa è la prova della dimensione europea di questo compositore italiano, come pure della sua indubbia originalità. Negli anni del nascente neoclassicismo, Respighi costruisce una vera e propria elegante “tarsia” in cui citazioni e intenti parodistici (ben motivati del resto dalla dimensione fiabesca) si combinano nel costruire un fascinoso arazzo nel quale ogni elemento viene rielaborato all’insegna di una sicura originalità.
Nei primi due atti, sapienza costruttiva ed eleganza si combinano alla perfezione, mentre il canto e talvolta il parlato danno a tratti l’impressione – nella loro essenzialità – che l’insieme costituisca a suo modo anche un tardo e sofisticato esempio del classico genere del melologo. In realtà, questa partitura va ben oltre: la duttilità con cui tutte le componenti musicali si combinano realizza infatti una drammaturgia nitida e accattivante.
Il terzo atto – nel quale è protagonista risolutore della vicenda il Principe Aprile – presenta una minore fluidità stilistica. Da un lato, il ruolo tenorile del principe induce Respighi a concedersi ampie digressioni di ambito melodrammatico e veristico, nelle quali il possibile intento parodistico rimane francamente un po’ sotto traccia; dall’altro, il finale lo vede liberare la sua arguzia – chiaramente motivata e sostenuta dal brillante libretto di Gian Bistolfi – con un eclettismo che lo porta a giustapporre, straordinario effetto teatrale, un antico Minuetto e un attualissimo (negli anni Trenta) Fox-trot. Perché il sonno della principessa e della corte paterna non è durato solo un secolo, come nella favola di Perrault, ma si conclude nel momento in cui la rappresentazione va in scena.
Lo spettacolo di Leo Muscato aderisce con leggerezza alla qualità della musica, inscenando un contesto favolistico astratto nelle scene di Giada Abiendi, colorato, sorridente ed evocativo nei magnifici costumi firmati da Vera Pierantoni Giua, suggestivo nelle luci di Alessandro Verazzi. L’insieme – completato da misurati interventi video – restituisce il sapore di una rappresentazione marionettistica ma ne amplia la ricchezza narrativa e drammatica, senza mai indulgere alla fantasia da cartoon ma costruendo una convincente quanto originale forma di “teatro animato”.
Nella vasta compagnia di canto, spiccano la Fata Azzurra di Shoushik Barsoumian, agile nella coloratura e facile al sovracuto, la principessa di Angela Nisi, elegante e di efficace musicalità, il re ben timbrato di Vincenzo Taormina. Il principe Aprile è Antonio Gandìa, che spinge forse troppo sul versante veristico della parte (nella seconda compagnia, apprezzabile in questo ruolo per misura e colore Davide Giusti). Positiva anche la prova del mezzosoprano Lara Rotili, impegnata a fare il cuculo come pure la cattiva Fata Verde e la Duchessa, come pura quella del brillante usignolo di Claudia Urru. Caricaturale, a suo modo delicato il buffone disegnato da Enrico Zara, che poi nel terz’atto canta la parte da sbruffone di Mister Dollar, che crede di poter comperare tutto con i bigliettoni verdi. A posto Nicola Ebau, che canta la romanza del boscaiolo; non sempre omogeneo e con qualche disuguaglianza e forzatura nelle voci acute femminili il coro istruito da Gaetano Mastroiaco.
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