di Luca Chierici foto © Gaglione
L’esecuzione dei grandi capolavori della musica da camera, soprattutto di quelli che partono cronologicamente dal periodo classico di Haydn, Mozart e Beethoven, richiede la partecipazione di un complesso tecnicamente e musicalmente agguerrito sia in termini di omogeneità di preparazione che da quello di consuetudine del cosiddetto musizieren, consuetudine che, a parte qualche caso sporadico di “incontro al vertice” tra elementi singolarmente famosi nel campo solistico, è frutto di una lunga attività concertistica comune.
Oggi sono pochissimi i casi in cui si può ascoltare un ensemble che sia lontanamente paragonabile, che so, al Trio Cortot-Thibaud-Casals e gli stessi straordinari complessi che parteciparono alle leggendarie stagioni del Festival di Prades non sempre rispettavano il secondo requisito, quello dell’attività “stabile” e talvolta neanche quello di una omogeneità di intenti. Ma si trattava nella maggior parte dei casi di incontri al vertice e ancora oggi non si può che rimanere ammutoliti nel riascoltare i documenti registrati provenienti da archivi lontani nel tempo.
Nell’era degli spostamenti rapidi, delle carriere fulminanti, dei cartelloni pieni zeppi di eventi, c’è già da leccarsi i baffi se si ha l’occasione di presenziare a una serata come quella che ha aperto la nuova stagione della Società del Quartetto di Milano, che vedeva la presenza carismatica di una pianista come Krystian Zimerman accanto a tre validi artisti come la violinista Marysia Nowak, la viola Katarzyna Budnik e il violoncello di Yuva Okamoto. Ma per alcuni versi si è trattato di un concerto che non raggiungeva quel livello di perfezione assoluta che era giusto attendersi, complice anche il fatto che il programma prescelto attingeva ad esempi per i quali era davvero necessaria la presenza di quattro esecutori di valore paritario. E se da un lato apprezziamo la scelta del pianista nel fare da coach a colleghi peraltro non certo giovanissimi, dall’altro rimpiangiamo un’occasione mancata di partecipazione di nomi più prestigiosi come era avvenuto ad esempio, nella stessa sala, quelle rarissime volte in cui Krystian Zimerman si era presentato a fianco di solisti come i violinisti Myung-Wha-Chung (sorella del famoso direttore) o di Gidon Kremer. Se l’altra sera era più che giustificabile, anche se non ottimale, lo slancio con il quale Zimerman trascinava letteralmente i colleghi nei meandri del discorso brahmsiano, meno piacevole era il constatare una certa disomogeneità tra i colleghi stessi, con un picco positivo nella voce del violoncello e a seguire in quella della viola e poi del violino (quest’ultimo davvero poco incisivo e di suono per nulla memorabile).
Il livello della serata era riscattato ovviamente, oltre che dalla presenza del pianista che ha un ruolo importantissimo in questo tipo di repertorio, anche dalla presenza di … Brahms che nei tre quartetti con pianoforte giunge a definire uno stile cameristico vertiginoso pur nella univocità e originalità dei risultati. E a volerla dire tutta, forse non era neanche ottimale la scelta di due elementi (le opere 26 e 60), per me inedita in un programma di concerto, a scapito del più comunicativo ”Quartetto zigano” dell’op. 25. Questo era il minore dei problemi, tuttavia, anche se l’accostamento di due elementi di durata considerevole ha portato all’ultimo alla scomparsa del Quartettsatz di Mahler dal programma precedentemente annunciato. Oltre agli exploit pianistici di Zimerman, che i conoscitori sanno quanto siano stati collocabili nel campo dell’eccellenza assoluta, il discorso musicale dell’ensemble ha alla fine prevalso in quanto portatore di momenti indimenticabili, primo fra tutti il neppure commentabile Andante del Quartetto in do minore. Del resto Zimerman è stato un grande pianista brahmsiano fin dagli esordi: non a caso la Deutsche Grammophon gli aveva commissionato verso la fine degli anni ’70 l’incisione delle tre sonate, che vennero pubblicate ai tempi della integrale prevista per il 150mo anniversario della nascita del compositore. E gli abbonati del Quartetto di lunga data si saranno ricordati di una fulgida esecuzione da parte di Zimerman delle sonate op.2, nel suo primo recital per la società nel 1977, e op. 5 (la memorabile serata al dal Verme di diciotto anni fa).
Il concerto ha riscosso comunque un caloroso successo da parte di un pubblico per fortuna formato anche da nuove leve. Per ovvi problemi dovuti alla lunghezza della serata, più che al possibile impatto negativo sull’assolutezza dei contenuti dell’impaginato ufficiale, non si sono registrati fuori programma.