di Luca Chierici
Trascorso da poco il clamore sollevato dall’interminabile recital di canto di Juan Diego Flórez, ecco che all’ultimo momento la Scala ha confermato la presenza della diva Anna Netrebko, un appuntamento da tempo in cartellone ma che era rimasto come in sospeso a causa delle recenti prese di posizione contro la Russia putiniana e gli artisti da Putin stesso protetti.
Non entriamo nella querelle, e registriamo un successo notevolissimo della serata, che per fortuna non ha raggiunto le dimensioni (cioè la durata) di quella precedente, anche perché la Netrebko non si spende in un numero di bis eccessivo, nonostante il prolungamento delle acclamazioni. Che il soprano russo soggioghi letteralmente il pubblico è un dato di fatto e non importa se gli impaginati dei recital sono piuttosto generalisti e se la regìa dell’insieme rispetta i canoni dei recital di successo anche a forza di cambi d’abito – il secondo, nero, con uno spacco vertiginoso – o ammiccamenti a questo o a quel dettaglio del testo cantato, come del resta faceva, con più gusto e senso del teatro, la recentemente scomparsa diva Gruberova.
La Netrebko incanta, soprattutto all’inizio, con la scelta del momento chiave dell’Adriana di Cilea, e non certo solamente perché si trattava dell’opera che il soprano avrebbe dovuto affrontare nella passata stagione. Dal punto di vista artistico-vocale si è trattato sicuramente del momento più alto della serata. Entrata in scena di gran classe – vestito a parte – recitazione da grande tragédienne, emissione purissima, corposa, agile, con una qualità di mezze voci e di gestione vocale del fraseggio indubbiamente impressionante. Da quel punto in poi si è innanzitutto ripetuto il triste rito dell’applauso dopo qualsiasi elemento del programma, anche quelli che erano forzatamente abbinati come in Rachmaninoff, Leoncavallo o Strauss. Applausi che spezzano la concentrazione di ascolto (ma chissenefrega, non stiamo certo parlando di Musica) e forse anche la concentrazione dell’interprete, che a volte non dà il meglio di sé, anche nel senso dell’intonazione – l’inizio di Morgen – in quelle quattro, importanti cose del grande Richard. La dizione della Netrebko lascia molto a desiderare, soprattutto nel francese e nel tedesco, ma anche questo è un elemento che tutto sommato può passare in secondo piano: quanti vocalizzi inintelligibili abbiamo sopportato ai tempi della Montserrat! Va a finire che, anche per comprensibile ignoranza del pubblico, ma non solo, i momenti in cui il divismo lascia il posto alla Musica di cui sopra rimangono quelli dedicati al repertorio russo (Čajkovskij, Rimskij,il già ricordato Rach), dove non solamente non esistono problemi linguistici, ma la padronanza del fraseggio della Netrebko risulta molto più convincente.
Domina sempre la qualità dell’emissione, non c’è dubbio, ma si tratta in ogni caso di doti naturali ben gestite attraverso uno studio scrupoloso che fa sicuramente onore alla cantante. Nel repertorio francese, pronuncia a parte, si sono ascoltate cose molto pregevoli, soprattutto in Saint-Saëns e nella Louise di Charpentier (superbi i filati e la purezza dell’emissione in genere) e nei bis, misurati e popolari, che andavano dal «Bacio» di Arditi – lei fa finta di guardare l’orologio per misurare la lunghezza di un acuto – al «Non ti scordar di me» di De Curtis, alla Manon di Puccini (ma “In quelle trine morbide” della Freni era altra cosa).
Alla serata ha contribuito con successo la presenza del giovane violinista Giovanni Andrea Zanon, che ha accompagnato la cantante in tre momenti diversi (quattro con il “bis”) e del mezzosoprano Elena Maximova, partner nei duetti dalla Dama di picche e nella famosa Barcarolle dai “Racconti di Hoffmann”. Del pianista Malcolm Martineau si è apprezzata la professionalità, che solamente a tratti sfociava in qualcosa di veramente significativo. I recital della Netrebko con l’accompagnamento di Barenboim erano stati di tutt’altro livello.