di Luca Chierici
Non erano trascorsi che pochi giorni dalla comparsa di Antonio Pappano alla Scala con l’Orchestra di Santa Cecilia in versione da camera (leggi la recensione sul Corriere Musicale) ed ecco lo stesso direttore apparire di nuovo a Milano, questa volta per la Società del Quartetto e con la Chamber Orchestra of Europe.
Un programma che a metà appariva come omaggio alle qualità virtuosistiche di un’orchestra di impronta tutt’altro che cameristica (Ravel, Kodály). E lo stesso programma, con la serenata di Dvořák, rientrava in un ordine di idee più consono all’insieme strumentale originario e con il primo Concerto di Prokof’ev, l’elemento decisamente più interessante di tutta la serata, aggiungeva alla bravura dell’orchestra quella ancor più strabiliante della solista, la violinista Janine Jansen.
Talmente bravi sono gli elementi della Coe che l’inizio della trascrizione raveliana de Le tombeau de Couperin sembrava navigare senza il bisogno della pur palpabile presenza di Pappano, più avanti decisamente autorevole nella conduzione dell’insieme. Per quanto raffinatissima in questa versione orchestrale, Le Tombeau ci pare sempre perdere qualcosa rispetto all’originale pianistico, per la mancanza della Fuga al secondo posto e soprattutto della magnifica Toccata finale che costituisce la logica conclusione di un discorso perfettamente calibrato. Della Serenata di Dvořák i nostri protagonisti hanno offerto una lettura squisita e forse fin troppo raffinata nei particolari per una partitura che probabilmente era stata pensata con finalità più “leggere”, mentre le Danze di Gálanta di Kodály sono esplose in tutta la loro irruenza sinfonica con indubbi risultati di coinvolgimento del pubblico. A questo exploit è stata contrapposta come bis la Valse Triste di Sibelius dalle malinconiche eufonie timbriche.
Si diceva però che il punto di accumulazione degli umori della serata è coinciso con il Concerto op.19 di Prokof’ev, partitura per la quale non si finisce di esprimere una ammirazione assoluta anche pensando all’epoca in cui la figura geniale del musicista russo ha prodotto un simile lavoro, irto di difficoltà strumentali, di particolarità ritmiche d’avanguardia, di difficoltà di insieme sempre pensate non come effetto fine a se stesso bensì in quanto elementi imprescindibili per la coerenza del tutto. La Jansen ne ha offerto una esecuzione di smalto incredibile attingendo alle riserve di una bravura di altissimo grado. Due bis bachiani hanno coronato questa esecuzione superba che ha riscosso l’applauso liberatorio del pubblico tutto, che gremiva la Sala Verdi.