di Attilio Piovano
Una vera e propria full immersione mozartiana, quella proposta dal blasonato ensemble Il Pomo d’Oro, la sera di martedì 7 febbraio 2023, a Torino, presso l’Auditorium ‘Agnelli’ entro la stagione di Lingotto Musica, per la direzione del fuoriclasse trentaquattrenne Maxim Emelyanychev, alla guida della formazione dal 2013.
Ipercinetico, gesto esuberante, mai fine a se stesso, efficace ed ‘evocativo’, ha diretto con puntuale professionalità e fin troppo entusiasmo (qualcuno dovrà pur spiegargli che battere i piedi così rumorosamente sul palco finisce per infastidire): ben assecondato dai per lo più giovani professori d’orchestra che compongono l’ottima formazione dedita alla prassi della cosiddetta interpretazione storicamente informata, un ensemble duttile e, soprattutto, non dogmatico che ha saputo riportare Mozart alla sua giusta dimensione, senza gli isterismi di certi barocchisti ad oltranza che di fatto, nella loro rigidità spocchiosa, finiscono per annoiare sin dalle prime misure.
Non così Emelyanychev e Il Pomo d’Oro dacché la serata è stata tutto un crescendo emotivo, culminato in una fascinosa e davvero coinvolgente interpretazione della Sinfonia K 550. Quelli che temevano un’esecuzione esangue ed asettica sono stati smentiti, potendo godere di una interpretazione di grande presa emotiva, spogliata certo dagli eccessi e dagli orpelli depositatisi sulla più pre romantica delle Sinfonie mozartiane, ma al tempo stesso perfettamente ‘centrata’. Lo si è compreso fin dall’esordio. Fraseggi incisivi, tempi sciolti, ma non nevrotici, dinamiche appropriate e variegate, pulizia, nitida chiarezza e molto altro ancora. Memorabile l’Andante per la trasparenza, la sobrietà (pur ponendo in luce certi agglomerati ‘scuri’, certe cupezze già foriere di novità) ma anche per quello sguardo partecipe a un passato contemplato con struggente nostalgia, come quando si osserva qualcosa che non esiste più. Poi ecco direttore ed ensemble a ribadire il carattere irrequieto ed inquietante della celeberrima pagina nelle asprezze dello squadrato e febbrile Minuetto che ormai non è più tale e, più ancora, nelle incandescenze dello sconvolgente Finale dalle inaudite audacie armoniche che ha regalato emozioni invero indicibili: non a caso gli applausi sono fioccati scroscianti a fine serata, all’indirizzo del giovane e già oltremodo affermato direttore, che continuerà a far parlare di sé nei prossimi decenni, e dell’ottima formazione, ammirevole in tutte le sue parti per bellezza di suono, precisione e affiatamento.
Tutto aveva preso le mosse dall’ancor giovanile Sinfonia 201, frutto di un Mozart appena diciottenne: pagina in bilico tra residui di stilemi tardo barocchi, o più propriamente rococò, stile galante e qualche già pur piccola novità. Emelyanychev ha fatto del suo meglio per attenuarne i limiti, ancorché vari commentatori ne esaltino i già notevoli punti di modernità (perfino certe anticipazioni di Schubert nel Trio del Minuetto); pur tuttavia qualcosa come di irrisolto pareva dominare l’interpretazione. Per dire, certe chiusure di movimento cadute un po’ nel vuoto, la sensazione di taluni anacoluti qua e là e altro ancora. L’Andante con quei suoi pur deliziosi profili evocatori di Watteau e Boucher, in realtà è risultato lezioso, strascicato e… infinito, laddove del Menuetto Emelyanychev ha posto in rilievo lo humour haydniano, convincendo appieno nell’effervescenza con la quale ha affrontato il brioso Finale.
A centro serata campeggiava il Concerto per oboe K 271k (il cosiddetto ‘Ferlendis’ dal nome dello strumentista bergamasco attivo a Salisburgo), affidato alle mani di Ivan Podyomov, prima parte della Royal Concertgebouw Orchestra a partire dal 2016. In apertura qualcosa non ha funzionato, forse problemi di ancia, ma anche l’intesa con l’orchestra non era totale. Accettabile il tempo lento, con quel suo fare da aria d’opera, apprezzabile peraltro l’ottima qualità del suono dell’interprete, mentre il pimpante Allegretto conclusivo, con le sue frasi argentine, il suo tono festoso e le sue arguzie (in anticipo rispetto all’aria di Blonde nel Ratto che ne ricalcherà i profili quasi testualmente) ha portato una vena di euforizzante gradevolezza innescando meritati applausi. Da ultimo, come si è detto, la K 550 ed è stato un trionfo.