di Attilio Piovano
Enorme il successo di pubblico in occasione del decimo concerto di stagione per il cartellone dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai: a Torino, in Auditorium ‘Toscanini’, la sera di giovedì 26 gennaio 2023. Concerto del quale ha potuto beneficare – ancora una volta – un pubblico ben più ampio rispetto all’ambito strettamente torinese, grazie alla diretta televisiva su Rai 5 (oltre che su Rai Radio 3 Suite e sul circuito Euroradio) la sera del 27.
Significativa la scelta del programma, data la concomitanza con la Giornata della Memoria. E dunque in apertura, di Schönberg, Un sopravvissuto di Varsavia op. 46, toccante partitura, in assoluto non solo uno dei capolavori della letteratura musicale del XX secolo, bensì una delle pagine di maggior impatto emotivo dell’intero ‘900. Sul piano strettamente tecnico, si tratta di una sorta di melologo che, come tale, richiede una voce recitante di grande bravura ed esperienza, in grado di coinvolgere sin dalle misure d’esordio, con la varietà dei registri e delle corde espressive: sì da rendere, in tutta la sua agghiacciante ‘bellezza’, la temperie del lavoro, volto a rievocare la tragedia dell’Olocausto.
Il poliedrico e colto Francesco Micheli è riuscito magnificamente nell’intento, giocando su dinamica vocale e ‘fraseggi’, alternando il tono narrativo (e pur partecipe) di un declamato inizialmente quasi rapsodico, verrebbe da dire, al vero e proprio urlo, dunque restituendo tutta l’efferatezza del brutale comportamento dei nazisti sicché quelle frasi in tedesco, entro il tessuto in inglese, o più propriamente in americano, raramente si sono conficcate nel cuore dell’ascoltatore con tanta immediatezza. Una performance – la sua – di altissimo livello che non ha caso è stata salutata da intensi a meritati applausi, dopo il necessario e protratto silenzio che occorre frapporre al termine di una pagina dalla così forte intensità. Alla quale l’intervento conclusivo della sezione maschile (come previsto dalla partitura) del Coro Maghini, ottimamente istruito dal suo storico direttore, Claudio Chiavazza, ha fornito un apporto non certo indifferente intonando la professione di fede dell’ebraismo, lo Schema Ysroel, «Ascolta Israele». Dal podio Fabio Luisi ha governato con mano salda, conferendo il giusto spessore ad ogni singolo frammento, ad ogni inciso di una partitura di forte tensione, fondata su una serie dodecafonica, dalla fitta tramatura timbrico-armonica e dal singolare appeal emozionale, giocando su colori e fraseggi con una precisione e uno scrupolo ammirevoli, magnificamente assecondato dalla compagine dell’OSNRai.
Compagine orchestrale che ha poi superato se stessa in un’interpretazione davvero di lusso della Settima di Mahler, la più ermetica, la più criptica delle sue Sinfonie. Raramente è accaduto di percepirne tutta la pregnanza e tutta la specifica fragranza. Una lettura – quella di Luisi – fondata su un accuratissimo lavoro di concertazione e una non comune capacità di valorizzare ogni singolo strumento, così anche i più piccoli particolari, ponendo in luce aspetti che di solito finiscono per essere trascurati. Sicché non si sapeva se ammirare maggiormente i tratti incandescenti della vasta partitura – una vera e propria vetrina per l’orchestra – o le atmosfere oniriche delle due stranite musiche notturne inserite in guisa di secondo e quarto movimento (Nachtmusiken). Che si sarebbe trattato di un’interpretazione oltremodo efficace lo si è compreso sin dalle battute iniziali, cupe, oscure e dominate dall’angoscia, vero prototipo dell’Adagio tipicamente mahleriano (e come tale destinato a condurre idealmente giù giù sino all’incompiuta Decima).
Luisi ha spesso spinto l’orchestra verso vertici dinamici di inaudita possanza (talora approssimandosi al limite e sacrificando appena qualcosa sul versante del ‘grottesco’), potendo contare sull’ottimo affiatamento dell’OSNRai e sul livello non comune delle sue prime parti, nessuna esclusa, dagli ottoni alle percussioni (specie la campana) che tanta parte hanno nella partitura, dai legni agli archi, beninteso, dei quali si apprezza sempre più la duttilità, la qualità della ‘pasta’ sonora, ora setosa dove occorre, ora intensa e robusta, ora delicatissima e rarefatta. Difficile estrapolare un singolo movimento della vasta Settima additandolo come quello che ha destato le maggiori emozioni (per dire, lo Scherzo intessuto di laceranti dissonanze). Ogni singolo tempo era a fuoco, ognuno il clima espressivo giusto, ognuno il colore appropriato. Con l’ampio Allegro conclusivo, dagli altisonanti ottoni e dalla ingegnosa forma a Rondò, vera chiave di volta dell’intera Sinfonia, punto focale nel quale si coagulano, come in un mirifico puzzle, tutti gli spunti in precedenza posti sul tappeto, l’interpretazione di Luisi e dell’OSNRai certo hanno raggiunto vertici molto alti.
Applausi convinti e protratti, come del resto ha potuto constatare chi tra i nostri fedeli lettori per caso si sia trovato ad ascoltare in radio, ovvero in TV la diretta della serata, forse perdendosi qualcosa dell’emozione di essere presente in sala, peraltro potendo contare, come ormai avviene da anni, su una qualità molto alta di ‘ripresa’ sonora (e così pure video, grazie alla sapiente regia).
Ancora una volta, merita sottolineare come Luisi abbia realizzato di fatto una vera e propria lezione di stile, con la sua interpretazione, rivelando (o per meglio dire confermando, se pure ce ne fosse bisogno) a chiare lettere la natura schiettamente novecentesca del sommo Mahler e la sua capacità di penetrare entro le peculiarità storiche, estetiche, filosofiche, sociologiche e quant’altro del XX secolo. Insomma un uomo scomparso nel 1911, appena agli albori del secolo, quando contava solo 51 anni, e che pure seppe intuire tutte le problematicità del cosiddetto ‘secolo breve’ trasponendo sui pentagrammi dei suoi capolavori sinfonici un coacervo di tematiche, con una lucidità e una coerenza che tuttora destano ammirazione. E in tal senso merita rileggere l’ammmirata lettera di Schönberg, vergata successivamente alla première della Settima. Così pure da non dimenticare come Mahler di fatto abbia aperto la strada allo stile aforismo di Webern E si potrebbe proseguire all’infinito.