A Torino, presso il Teatro Regio, il secondo appuntamento di The Best of Italian Opera, quattro giorni con grandi titoli operistici
di Attilio Piovano
Dopo l’esordio elegiaco e nostalgico con la pur amata Bohème, al Regio di Torino, per la sfaccettata kermesse The Best of Italian Opera, la sera del 10 luglio 2015 si è trattato di puro divertissement col collaudato allestimento del rossiniano Barbiere, ormai un classico tra le produzioni del torinese Regio. Sul podio Giampaolo Bisanti si è fatto apprezzare per equilibrio, chiarezza, precisione, puntualità, ben assecondato, anzi ottimamente assecondato da orchestra, solisti e coro. Dello spettacolo con le policrome scene di Claudia Boasso e i divertenti costumi di Luisa Spinatelli occorre dire tutto il bene possibile. Già lo abbiamo rilevato, recensendo tale Barbiere tempo addietro con ampiezza e dovizia di particolari alla quale volentieri rimandiamo il lettore. Insomma un Barbiere… «di qualità».
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La regia di Vittorio Borrelli è assai spassosa e strappa applausi convinti a scena aperta. Tautologico soffermarsi ancora una volta sull’intero repertorio, ovvero il ricco armamentario delle gags che il prolifico Borrelli inventa a getto continuo con zampillante e (in qualche caso) debordante fantasia, aggiungendo nuove trouvailles ad ogni ripresa. In questo caso tra le più macroscopiche nuove invenzioni l’idea di far apparire in apertura del second’atto, a sipario abbassato e luci in sala ancora accese, ma nel silenzio più totale, alcuni Druidi che si interrogano gli uni gli altri, muti, accigliati e pensierosi, sino al comparire di Figaro, coi suoi abiti vistosamente contrastanti rispetto alle lance e ai copricapi da Asterix e Obelix. Silente scambio di occhiate, srotolarsi di rispettive locandine come a dire: «Ma non è questo lo spettacolo che s’ha da fare?» e la battuta sorniona di Figaro: «Dopodomani» accompagnata dal classico italico gesto della mano che roteando il dito indice in orizzontale allude al futuro immediato, come a dire: «Siete fuori contesto, non vi vedete? Ripresentatevi per Norma». E tutti a ridere di gusto; un po’ da avanspettacolo, a dire il vero, ma ci stava, insomma teatro nel teatro e il richiamo, il recall come si usa dire, indirizzato al pubblico in tempo reale.
Mattatore Antonino Siragusa nel ruolo di del conte D’Almaviva, affiancato da uno spassoso Marco Filippo Romano nei panni di Don Bartolo. Sempre esilarante la scena dell’ingresso in casa dell’ubriaco Conte sotto mentite spoglie. Poi l’arrivo della forza pubblica e il ribaltone: anziché l’arresto tutti i soldati a chiedere autografi al Conte, addirittura l’ufficiale a baciargli le mani con untuoso servilismo, per dare un’idea del tono platealmente frizzante della regìa. Irresistibile il Figaro di Roberto de Candia e capricciosamente vivace la Rosina di Chiara Amarù che ha innescato un surplus di comicità quando nel tentativo, prescritto dalla regia, di infilzare coi piumini i ritratti di famiglia, lanciandoli con stizza, ne centra uno su cinque. E tutti ridono, e anche questo fa parte dello spettacolo. Grande spasso co navigato Nicola Ulivieri in Don Basilio (irresistibile la sua aria della calunnia, e l’orchestra che cresce e poi cresce ed ancora cresce fino la fantomatico colpo di cannon). Un plauso speciale al Fiorello di Lorenzo Battagion, curato e levigato come di rado accade, bene Lavinia Bini (Berta) nell’immancabile «Il vecchiotto cerca moglie / vuol marito la ragazza» interpretata con giusta verve e apprezzato l’allampanato mimo Antonio Sarasso che si muove in scena con la velocità di un bradipo, talora fino ad addormentarsi sul vassoio che reca in mano innescando grasse risate. Da rilevare l’impegno e la precisione profuse dall’esperto Gianandrea Agnoletto nel disimpegnare i recitativi al fortepiano, e non paia un particolare irrilevante: in un’opera come il Barbiere disporre di un maestro al fortepiano di tale livello è una vera fortuna e tutto fila via liscio comme il faut.
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