di Luca Chierici foto © Gerardo Goomez
Il concerto conclusivo delle manifestazioni che hanno contemplato una lunga presenza milanese del cosiddetto “Sistema Nacional de Orquestas y Coros Juveniles e Infantiles de Venezuela” si è tenuto venerdì scorso alla Scala con Gustavo Dudamel, l’orchestra Bolivar, il coro diretto da Lourdes Sánchez e quattro solisti di canto che si sono fatti molto apprezzare. In programma quella nona sinfonia di Beethoven che il pubblico conosce molto bene e che fa parte dei tesori dell’umanità. Tesori la cui esistenza oggi ci consola sempre di più e che ci fanno per qualche momento pensare a sorti migliori di quelle che attualmente sconvolgono il pianeta.
L’esistenza stessa del Sistema, il contagioso entusiasmo di tutti i suoi componenti e una buona preparazione di fondo sono gli elementi che hanno fatto esplodere il pubblico in un applauso interminabile al termine di una esecuzione che ha visto il suo punto di forza nel finale, dove le scelte di tempo di Dudamel (con una efficacissima resa della doppia fuga e una inaspettata accelerazione nelle ultime battute) hanno reso del tutto giustizia alla complessa partitura. Meno bello l’inizio, dove una certa secchezza degli archi ha fatto rimpiangere il suono delle mitiche orchestre tedesche e viennesi e dove il discorso era condotto più in base alle preoccupazioni dell’insieme che non all’illustrazione della straordinaria architettura formale.
Alla notevole resa del finale hanno contribuito il coro e soprattutto i solisti di canto: a fianco del soprano Gena Kühmeier abbiamo ascoltato il contralto Wiebke Lehmkuhl, il tenore Brian Hymel e il basso Georg Zeppenfeld. A quest’ultimo il gravoso compito di scolpire con grande efficacia il recitativo che segue all’esposizione orchestrale dell’Inno alla gioia, esposto con voce stentorea e capacità narrativa fuori dal comune.