di Redazione
Il nuovo Sacd dell’Audite contiene proposte tanto insolite quanto affascinanti. Tre grandi capolavori della letteratura austro-tedesca (la Kammersymphonie nr. 1 op. 9 di Schönberg, la Grande Fuga di Beethoven e la Seconda sinfonia di Schumann), eseguiti nelle versioni inconsuete per pianoforte a quattro mani. Arrangiare lavori orchestrali come oratori, sinfonie, cantate per pianoforte a due o quattro mani, così come per due pianoforti, era una prassi comune per l’epoca; così facendo, infatti, le case editrici pubblicavano delle edizioni che potessero rendere più agevole la lettura di uno spartito orchestrale a fini didattici, ma anche per rendere possibili l’esecuzione di questi capolavori in ambienti cameristici, e non solo nei grandi teatri, favorendone così una maggiore fruizione.
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La particolarità di questo album, eccellentemente interpretato dal duo Takahaschi-Lehmann, riguarda il fatto che le trascrizioni sono “originali”, in quanto realizzate dagli stessi compositori autori delle versioni “ufficiali” e maggiormente conosciute, ciononostante le genesi di questi tre arrangiamenti risultano tra loro molto diverse.
La Kammersymphonie di Arnold Schönberg è considerato un manifesto della “nuova musica” di inizio ’900. Composta nel 1907, anno in cui vennero date alle stampe anche le versioni per pianoforte a due e a quattro mani, è un’opera che si distanzia notevolmente dalle sinfonie postromantiche dell’epoca, sia per quanto riguarda la durata (circa 22 minuti) e l’organico (soltanto 15 strumenti a parti reali, con notevole prevalenza dei fiati). La Kammersymphonie venne apprezzata dall’élite musicale dell’epoca, tanto che Webern ne fece una rielaborazione datata 1922-23 per quintetto con pianoforte, mentre Berg la considerò un punto di riferimento per uno dei suoi massimi capolavori: il Kammerkonzert.
Diverso è il discorso che riguarda la grande fuga: venne subito chiesta dall’editore una versione pianistica di un’opera, la cui complessità aveva sconvolto il pubblico dell’epoca, e che ancora oggi è oggetto di forte dibattito tra musicisti e musicologi. Quando Karl Holz, secondo violino del Quartetto Schuppanzigh, chiese un arrangiamento per quattro mani al compositore austriaco Anton Halm, Beethoven manifestò tutto il disappunto per il lavoro che fece il collega, tanto che si impegnò a realizzare un proprio adattamento, che l’editore non tardò a pubblicare.
Più dubbio è il discorso che avvolge l’arrangiamento schumanniano della seconda sinfonia. Che l’opera sia stata concepita per orchestra è certo. Ma il motivo per cui Schumann sentisse l’esigenza di un’immediata rielaborazione pianistica fa ipotizzare ad una struttura di base più affine alla tastiera, sulla quale poi Schumann avrebbe inserito i vari timbri orchestrali. L’accusa che sovente si fa allo Schumann sinfonico, storicamente considerato inferiore rispetto allo Schumann pianistico, riguarda l’orchestrazione, che rimane vincolata alla ricerca di un colore che sul pianoforte rende molto bene, mentre sull’orchestra in molti casi funziona, ma talvolta alcune sovrapposizioni di linee non rendono così fluido il complesso tessuto sinfonico. Questo arrangiamento della seconda, però, non manca di fantasia, e le soluzioni pianistiche, spesso dissimili dall’elaborazione orchestrale, rendono molto bene certe sonorità, conferendo magistralmente una dimensione orchestrale alla tastiera.
Chi è abituato a sentire le opere originali, con tutte le sfumature timbriche di un’orchestra, ma anche di un quartetto, può rimanere deluso al primo impatto, ma dopo un fisiologico assestamento, ne esce un ascolto molto piacevole.
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Pubblicato il 2015-11-15 Scritto da StefanoCascioli