«In Italia la musica viene considerata un hobby e non una professione». Da Firenze, dove ha inaugurato ieri la stagione gli Amici della Musica, l’autorevole pianista (87 anni) ha risposto alle domande dei giornalisti
di Michele Manzotti
*È morto questa mattina, 1 febbraio 2015, il grande pianista Aldo Ciccolini
«Ai giovani che vogliono fare musica in Italia dico solo una cosa. Anzi faccio mia un’espressione di Eduardo de Filippo: jatevenne!». Non usa mezze parole Aldo Ciccolini, uno dei massimi esponenti del pianismo nazionale nato a Napoli, ma ormai francese di adozione e di buona parte della sua attività. Lo abbiamo incontrato in occasione del concerto inaugurale degli Amici della Musica di Firenze (dove suonò per la prima volta nel 1954) al Teatro della Pergola in un programma con musiche di Mozart, Debussy, Clementi e Castelnuovo-Tedesco.
«Ho scoperto Mario Castelnuovo-Tedesco per caso – spiega il pianista – trovando un suo spartito in una libreria con volumi di seconda mano. Bene, il brano che eseguirò, Piedigrotta 1924, mostra una straordinaria vocazione a comprendere il folclore della mia città. Dispiace pensare che un autore come lui quando andò negli Stati Uniti si guadagnava da vivere scrivendo sigle di telefilm. E’ un compositore da riscoprire e non è il solo: sono tanti (penso a Casella, Malipiero e Pizzetti) quelli che in Italia non sono eseguiti come dovrebbe essere tale è il loro valore».
Nel programma propone anche Clementi…
«Anche lui, nonostante sia stato un autore apprezzato da Beethoven, dagli esecutori italiani è spesso snobbato dato che il suo nome è associato agli studi del Gradus ad Parnassum. Per l’esterofilia che ci contraddistingue, se fosse stato russo sarebbe adorato!»
Lei presenterà anche Debussy di cui è il 150° dalla nascita, e del quale ha registrato l’integrale. Come descriverebbe la scrittura pianistica dei brani in programma?
«Ho avuto la fortuna di scoprire molto presto questo grande autore. Nel primo preludio che eseguirò, Danseuses de Delphes, la sua scrittura ha il dono di animare le pietre, mentre Des pas sur la neige descrive talmente bene i passi di una persona anziana che ogni volta che lo suono provo una grande emozione. Il conclusivo Minstrels è un brano pieno di gioia dove sono raccontati gli americani che suonavano in Francia».
Liszt è stato il protagonista del suo ultimo programma in ordine di tempo agli Amici della Musica di Firenze, altro compositore fondamentale nel suo repertorio.
«Oltre alle musiche che ci ha lasciato e oltre alla tecnica che aveva come nessun altro, ha di fatto inventato il recital pianistico dove l’esecutore suonava a memoria».
Parliamo un po’ della sua storia. Perché lei andò in Francia?
«Mi fu fatto uno sgarbo al conservatorio di Napoli dove avevo ottenuto una cattedra dopo molte peripezie. Il mio professore di composizione Achille Longo aveva addirittura minacciato il direttore di fare ricorso al ministro perché ero stato scavalcato da un altro candidato senza titoli. I punti tolti mi vennero resi, e il lavoro era importante dato che mio padre era morto presto e dovevo mantenere la famiglia. Ma fu proprio mia madre, dotata di un intuito straordinario, che in sintesi mi disse “jatevenne”».
E in sostanza cosa le consigliò?
«Mi iscrisse al concorso Long-Thibaud a Parigi. Nella peggiore delle ipotesi avrei fatto un bel viaggio esibendomi di fronte a grandi musicisti. Invece vinsi il primo premio e da lì cominciò immediatamente la carriera concertistica. All’insegnamento tornai più tardi, sempre in Francia negli anni ’70 grazie all’insistenza del ministro della cultura di allora. Io obiettai che non ero cittadino francese e non potevo insegnare al Conservatorio di Parigi. In pochi giorni mi arrivò il passaporto!».
Oggi come vede la situazione musicale italiana?
«Premetto che sono legato all’Italia, perché ha regalato personaggi della cultura al mondo. Ma oggi un giovane esecutore non ha spazio in un ambiente che è ormai in declino. Faccio tante masterclass: noto al tempo stesso allievi che dovrebbero fare un altro mestiere e altri dotatissimi che difficilmente troveranno spazio. La ragione è semplice: qui la musica, che ritengo sia un insieme di progresso, civiltà e spiritualità, viene considerata un hobby e non una professione».
Conversazioni con Aldo Ciccolini
Fresco di stampa “Conversazioni con Aldo Ciccolini”, edizioni Curci (a cura di Dario Candela, allievo del pianista). Un’occasione per approfondire la poetica pianistica e la vicenda umana di un musicista che a ragione viene considerato una leggenda vivente del pianoforte. Forse uno degli ultimi grandi interpreti di una generazione epica (Benedetti Michelangeli era del ’20) e lontana dal divismo del marketing contemporano.