Con l’Orchestra Filarmonica di Torino al Teatro Carignano: in programma l’interessante ouverture dall’Olympia del compositore tedesco. L’eccentrico pianista David Greilsammer e il concerto in re maggiore di Haydn. Meno convincente la lettura della mozartiana Praga
di Attilio Piovano
CONCERTO INTRIGANTE, quello dell’Orchestra Filarmonica di Torino, per MiTo edizione 2014 in dirittura di arrivo, la sera di venerdì 19 settembre, al Teatro Carignano, per la direzione dell’esperto e colto Federico Maria Sardelli: bel gesto, molta comunicativa e una mano attenta ai minimi dettagli della concertazione. Tutto settecentesco il programma, dunque – verrebbe da pensare – nel segno del Classicismo (con i sommi Haydn e Mozart in scaletta). Ma la prima viva sorpresa è stata l’apertura di serata con una inattesa incursione (quanto meno per la maggior parte del pubblico) tra le pieghe del primo Romanticismo, o più propriamente nel clima pre-romantico dello Sturm und Drang grazie ad un brano dello sfortunato Joseph Martin Kraus, genio versatile e precoce, del tutto coetaneo di Mozart (visse tra il 1756 ed il 1792). Dopo giovanili esperienze di respiro europeo e una formazione a 360 gradi (studiò filosofia, si interessò di letteratura e varie altre discipline) Kraus operò alla corte di Gustavo III di Svezia. Ma dopo l’assassinio di costui (la congiura che diede poi spunto per il Ballo in maschera) e il conseguente cambio di politica culturale, Kraus cadde in disgrazia, si ammalò e morì ancor giovane. Scritta in un re minore prossimo ai fantomatici climi del mozartiano Don Giovanni o del pianistico Concerto K 466, l’Ouverture che Kraus compose quale brano d’esordio delle musiche di scena per la tragedia Olympia è pagina intensa, percorsa da forte tensione emotiva, fin dall’Adagio iniziale, sospiroso e ricco di pathos. Poi ecco un Allegro fitto di sincopi e, al pari del Mozart della Sinfonia in sol minore, divorato da un fuoco inestinguibile nonché siglato da una indicibile, lacerante drammaticità. In chiusura ancora la riapparizione dell’Adagio dai cupi colori e dalle pungenti dissonanze. A dir poco stupendo. E Sardelli, che di Kraus è studioso attento e appassionato, ne ha data una lettura molto coinvolgente potendo contare sull’OFT in buona forma (lo ha poi riproposto ancora come bis, presentando la pagina con parole traboccanti di entusiasmo da innamorato).
Poi la seconda (gradita) sorpresa è stata la presenza del pianista David Greilsammer: musicista eccentrico ed eclettico, ma intelligente e tecnicamente agguerrito, noto per le sue interpretazioni fuori dagli schemi. E in effetti il suo Haydn (il Concerto in re maggiore per cembalo ovvero fortepiano dal pimpante Finale) è risultato come rimesso a nuovo. Vivacità e brillantezza in apertura (Sardelli ha staccato un tempo assai spigliato), molta pulizia da parte del pianista, ammirevole perlage e delicatezze rarefatte; egli ama poi stupire con improvvisi apici dinamici e inattese sonorità forte e quasi sconcertanti sforzando; è tuttavia nelle cadenze di sua stessa composizione (quasi le improvvisa, spiazzando gli orchestrali un po’ straniti) che Greilsammer si lancia vistosamente ad épater le bourgeois: con inflessioni jazzistiche e imprevisti collegamenti armonici. Cadenze del tutto fuori stile, e pur ricche di fascino. Non tutti sono convinti che questo sia il modo migliore per rivitalizzare il pur geniale Haydn, ma tant’è: Greilsammer è fatto così, prendere o lasciare. Ammirevole la sobrietà dell’Adagio dai colori tenui come in talune tele di Watteau (ma in tal caso la breve cadenza offerta da Greilsammer, non ce ne voglia, pareva in bilico tra certa minimal music e le becere banalità armoniche di alcuni pseudo pianisti compositori), poi la trascinante verve del Rondò all’ungherese di cui il pianista israeliano ama enfatizzare le turcherie, quelle impertinenti acciaccature che sotto le sue dita diventano sciabolate di luce radente. Ottima la performance orchestrale (ammirati i ‘salti mortali’ di Sardelli per star dietro all’imprevedibile solista), nonostante l’evidente timor panico dei professori d’orchestra per gli ‘attacchi’ a fine cadenze. Bis anch’esso fuori ordinanza, con un fulminante, percussivo brano di Ligeti dai ritmi serrati. Applausi scroscianti
Non altrettanto convincente – peccato davvero – la seconda parte di serata, con una Praga apparsa scialba e poco incisiva. Qua e là imprecisioni ritmiche e qualche incertezza. Benino l’Andante centrale, con le sue cerimoniose smancerie, per contro poco magnetismo nel sublime Finale che, occorre ammetterlo, ben altre volte i validi strumentisti targati OFT hanno interpretato con maggior coinvolgimento.