L’opera barocca lascia molto spazio alla regìa, alle scene e ai costumi. L’idea principale di Jurgen Flimm è quella di dimostrare come il tema della discussione tra i quattro protagonisti oltrepassi i confini di un classicismo di maniera e possa essere riproposto anche ai nostri giorni, o almeno alla fine degli anni ’40, all’interno di un ambiente conviviale come quello di un grande e famoso ristorante francese
di Luca Chierici foto © Brescia & Amisano
La presenza di un’opera di Händel (o di un Oratorio o di un ibrido come Il trionfo del tempo e del disinganno) alla Scala è evento così raro da non poter passare sotto silenzio, e pur lamentandoci con insistenza per la scarsa presenza di questo tipo di repertorio nei teatri italiani, non si può che commentare favorevolmente lo spettacolo che è andato in scena l’altra sera, parzialmente recuperato da una produzione di Zurigo e di Berlino. Il protagonista assoluto di questo evento è risultato essere sicuramente il giovane Autore, che appena ventenne seppe creare un capolavoro di tale raffinatezza e conoscenza del milieu musicale italiano da contendere al Mozart post-adolescenziale le prerogative del genio. Non dimentichiamo che Händel scrive il Trionfo nel 1707, dimostrando una enorme capacità di assimilazione di un gusto e di una tradizione che a quel tempo non erano così sviluppate come lo saranno negli anni ’70 del secolo nel momento in cui il salisburghese dimostrerà analoghe attitudini nei confronti dell’opera italiana. Ma non si tratta qui solamente di rielaborazione del contesto: Händel integra la composizione dell’orchestra barocca italiana arricchendo lo strumentale, apre le combinazioni vocali a forme del tutto innovative come quella del quartetto.
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